Il valore consolatorio della metafisica era stato stanato da Nietzsche come panacea del bisogno trascendentale della solitudine dell’uomo di fronte all’incommensurabile e imperscrutabile moltitudine dell’universo, oltre un secolo e mezzo fa nella sua netta separazione fra il dionisiaco e l’apollineo. Unica soluzione, la loro coniugazione, per aspirare alla condizione di un uomo «oltre» quello presente (non super, nessun superman per Nietzsche). Eppure, il «bisogno» di trascendente – soprattutto come «rimedio» in relazione alla paura di quel che non si conosce, continua a condizionare la vita degli uomini. Anche attraverso i dpcm di contrasto al Covid. Una iperbole? No. L’ultimo decreto del presidente ha stabilito che potessero restare aperti i luoghi della metafisica (le chiese: suvvia, anche per non dispiacere una precisa zona che si trova all’interno della città di Roma…) a dispetto di quelli dove si pratica la vita. Laddove per vita s’intende quella declinata con le molteplici forme della ristorazione: dal tubo digerente al cervelletto. Bar, ristoranti chiusi dopo le 18 (che presa in giro!), chiusi del tutto, teatri, cinema, sale concerto, palestre, luoghi di convegno e quant’altro. Eppure, la pericolosissima distanza fisica (e basta con quell’improprio “sociale”! ché posso essere animale sociale anche con una telefonata!) è quella non monitorabile (né monitorata) nelle chiese per la celebrazione del suddetto «bisogno» metafisico. In buona sostanza, non si capisce il senso dell’ultimo Dpcm, se non che le «ristorazioni» non metafisiche sono percepite come «non indispensabili». Ovvio che il Masaniello pret-a-porter della Lega abbia buon gioco in una protesta che monta da Sud a Nord. Da quell’animale politico qual è s’infila nelle pieghe di un provvedimento che tale non è, perché quel dpcm nulla, di fatto, produce, se non rabbia e sconcerto: pane quotidiano del “nostro”.
Vengono in mente titoli di film quali Quasi incinta. Cosa significa infatti una chiusura alle 18 per i ristoranti? C’è qualcuno sano di mente di quella categoria che terrà aperto giusto per pagare senza incassare? E i lavoratori che da quelle categorie traggono il sostentamento, dove mai andranno a recuperarlo, visto che saranno lasciati a casa in larga, larghissima misura? Un provvedimento estremo quale una chiusura totale e temporanea sarebbe stata più comprensibile perché non kafkiana quale questa: più onesta. Invece il governo è caduto nella trappola del piacione: quello che vuole piacere a tutti, scontentando tutti. Ostaggio anche di Bonomi e dei di lui affiliati, il governo ha pensato – come un qualsiasi governo di destra – alla ripresa del Pil (…) non al benessere. Pure la vendita delle sigarette, dei superalcolici, dei gratta e vinci, fanno Pil ma non benessere. L’auto afflizione economica nei confronti di un debito pubblico debordante quale quello italiano ha giustificato la resa incondizionata di Conte nei confronti dei 5 Stelle in relazione al Mes.
Demonizzando il mostro esterno (Salvini), il governo ha finito col cedere a quello interno. Ora è giunto il momento che da sinistra si presenti il conto a un governo la cui cifra ormai pendola fra masaniellisti e bonomisti. Per tornare al vulnus del rapporto fra benessere e Pil (ché è qui che sta la sostanza), esso, oltre a non determinare nessun automatismo, è anzi criminale panacea dei mali delle diseguaglianze (vogliamo parlare del rapporto fra ricchezze e povertà nel nostro paese?). È invece, questa nuova peste, l’occasione (non possibile, ma a questo punto, doverosa) per ripensare completamente il benessere in rapporto alle dinamiche della produzione e della distribuzione della ricchezza. Il momento di immaginare una proiezione dal profilo coerente con un tempo in cui il pianeta per primo soffre per lo sciagurato impianto capitalistico continuamente rinverditosi e ripresentatosi con nuove forme ma identiche sostanze fin dalla prima rivoluzione industriale.