Riceviamo e pubblichiamo questo testo dell'avvocato Felice Besostri in cui analizza le anomalie della nuova legge elettorale di cui si discuterà con il nuovo anno

La settimana prossima le commissioni affari costituzionali di Camera e Senato devono dare il parere sullo schema di decreto legislativo sui collegi elettorali, anche se ci sono problemi, cui si farà accenno in seguito. Appena sarà promulgato si potrà votare alla scadenza naturale della legislatura, entro 70 giorni dalla fine della precedente, la XVIII, eletta il 4 marzo 2018: il quinquennio si calcola dalla prima riunione delle Camere, il 23 marzo 2018, che, come stabilisce l’art. 61 Cost., è avvenuta entro 20 giorni dalle elezioni. Però in ogni momento, in caso di elezioni anticipate, se il presidente della Repubblica le scioglie prima della scadenza, con sua decisione insindacabile, «sentititi i loro Presidenti» (art. 88 c. 1 Cost.), ma non negli ultimi 6 mesi del suo mandato, nel cosiddetto semestre bianco: che per il Presidente in carica, eletto il 31 gennaio 2015, inizia il 1° agosto 2021.

Le prossime elezioni saranno le prime dopo il taglio del Parlamento, con l’entrata in vigore il 5 novembre del corrente anno della legge costituzionale 19 ottobre 2020, n. 1 “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari“ in GU Serie Generale n.261 del 21-10-2020. Per un giorno si è evitato che coincidesse con la Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate, che si celebra il 4 Novembre, giorno della vittoria nella Prima Guerra mondiale, l’unica festa sempre celebrata nell’Italia dalla Monarchia sabauda alla Repubblica nata dalla Liberazione e dalla Resistenza , attraversando il Ventennio.

Questa è la novità, ma se non si modifica la legge elettorale, sarebbe la quinta votazione con una legge elettorale incostituzionale, la terza della serie: 1) l.n. 270/2005 (porcellum) nel 2006-2008-2013; 2) l.n. 165/2017 (rosatellum) nel 2018 e 3) l.n. 165/2017 con le modifiche peggiorative della l.n. 51/2019 nel 2023, ma con rischio di elezioni anticipate. In realtà dal 2005 tra le leggi elettorali incostituzionali approvate dal Parlamento dovremmo nominate anche la l.n. 52/2015 (italikum), ma non è mai stata applicata, perché fatta annullare della Corte Cost, con la sentenza n.35/2017, grazie all’iniziativa di 23 ricorsi, che ho avuto l’onore di coordinare, degli avvocati antitalikum. Quest’ultima legge ha creato un pericoloso precedente per la colpevole leggerezza della Presidente della Camera, che ha ammesso tre voti di fiducia, richiesti dal Governo su altrettanti articoli della legge, contro la chiara disposizione dell’art. 72 c. 4 Cost. Tale articolo prescrive che «La procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera è sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale», opinione espressa nel 1981 dalla unica grande Presidente donna della Camera, l’on. Nilde Iotti. Quel precedente ha fatto scuola perché la terza legge incostituzionale, ma non ancora dichiarata ufficialmente tale, è stata approvata con 8 voti di fiducia, i soliti 3 alla Camera e 5 al Senato.

Altra costante delle leggi elettorali nazionali dal 2005, è la loro approvazione in violazione del Codice di Buona Condotta in Materia Elettorale approvato dal Consiglio d’Europa, che ritiene una cattiva pratica, cambiamenti nell’anno che precede le elezioni. La legge n. 270/2005 è del 21 dicembre con il voto previsto il 9 aprile 2006. La legge n. 165/2017 è datata 3 novembre, una cinquantina di giorni prima del porcellum, ma le elezioni del 2018 erano anticipate al 4 marzo. Per mantenere il ritmo e non perdere le abitudini, il nostro Parlamento, che non ama le leggi elettorali costituzionali, perché l’art. 66 Cost. lo proteggeva dalle decisioni della magistratura in materia elettorale, nel 2009, cioè nello stesso anno delle elezioni europee del 7 giugno, introduceva la soglia d’accesso del 4% con la legge 20 febbraio 2009, n. 10. “Modifiche alla legge 24 gennaio 1979, n. 18, concernente l’elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia”.

Questa violazione della Costituzione in un diritto fondamentale in ogni ordinamento è stato facilitato dalla stessa Costituzione, che non ha costituzionalizzato i principi informatori del sistema elettorale, ma solo che le Camere sono elette «a suffragio universale e diretto» (artt. 56 e 58 Cost.) e che «Il voto è personale ed eguale, libero e segreto» (art.48 Cost.). Non ha neppure previsto una categoria di leggi intermedie tra le norme di rango costituzionale e le leggi ordinarie, come in Spagna e in Francia, le cosiddette leggi organiche (ley orgànica e loi organique rispettivamente), che regolano materie complesse (l’equivalente dei nostri Testi Unici o Codici dell’ Ambiente, del Consumatore o del Contribuente per fare degli esempi), che devono essere approvate a maggioranza assoluta del Parlamento e, pertanto, caratterizzate da una certa stabilità e al riparo da emendanti capziosi o da norme infilate in decreti legge o nelle cosiddette leggi omnibus, come la tradizionale, con cadenza annuale, legge di proroga dei termini scaduti o di imminente scadenza.
Inoltre a differenza di Spagna, i cui costituenti avevano ben presente il modello italiano, nel senso di scelte da evitare in materia di controllo di costituzionalità e di revisione costituzionale, e Germania, non abbiamo l’accesso diretto dei cittadini alla Corte o Tribunale costituzionale in caso di violazione di diritti costituzionali fondamentali, tra i quali è sempre compreso il diritto di voto.

Da noi bisogna trovare un giudice sensibile ai valori, costituzionali, cosa non facile perché quando controparte è lo Stato, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri non tutti i Tribunali sono competenti, ma solamente quelli di Roma o del Comune sede del capoluogo del Distretto di Corte d’Appello, dove ha sede l’Avvocatura distrettuale dello Stato. Pensare che la Cassazione, su nostra opposizione alla decisione del Tribunale di Brescia dichiarativa della competenza di Roma ha statuito, che «La controversia, siccome appunto avente ad oggetto l’esercizio del diritto di voto, deve ritenersi radicata nel luogo ove si esercita il diritto, ovvero nel comune di residenza, nelle cui liste elettorali sono iscritti i ricorrenti»( Cass. Civ., VI-1, ord. n. 3395/18). Si chiama “privilegio del foro erariale”, che con il processo telematico ha perso ogni ragione pratica. Sempre grazie a cittadini elettori che si sono rivolti a tribunali è ora chiaro, che competente ad accertare il diritto di votare secondo Costituzione in ogni elezione è il giudice ordinario anche al di fuori dalle impugnazioni elettorali (Cass.SS.UU. civili, ord. 21262/16), ma di accertamento di un diritto.

Per l’art. 54 Cost. «Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi» e agire in giudizio per il diritto di votare secondo Costituzione, non è solo un diritto, ma anche un dovere, che lo Stato e il Governo non hanno ragione di contrastare, perché «la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione» (art. 1 c. 2 Cost.), quindi non si può correttamente esercitare la sovranità nel procedimento elettorale, se la legge elettorale non è costituzionale. I cittadini devono citare in giudizio il Governo, perché i soggetti responsabili per l’entrata in vigore di una legge, il Parlamento e il Presidente della Repubblica, non possono essere chiamati a risponderne. Lo vieta l’art. 68 Cost. per i parlamentari e l’art. 90 Cost. per il Presidente della Repubblica, nelle cui mani prima di entrare in carica giurano il Presidente del Consiglio e i ministri (art. 93 Cost.) con la formula «Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservare lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della Nazione».

Le incostituzionalità della legge elettorale (liste totalmente bloccate, voto congiunto obbligatorio di liste plurinominali e candidati uninominali, premio di maggioranza nascosto, mancato rispetto percentuali seggi proporzionali e maggioritari), per la prima volta, si accompagnano ad un sospetto di costituzionalità della legge costituzionale n. 1/2020 secondo i parametri della sentenza della Corte Cost. n 1146/1988. Le precedenti revisioni sospette di Berlusconi e Renzi sono state spazzate via dai referendum 2006 e 2016, di quest’ultimo abbiamo appena celebrato il quarto anniversario.
L’incostituzionalità non consiste nella riduzione dei parlamentari elettivi da 945 a 600, così tranquillizzo chi ha votato Sì, perché dovrebbero essere alleati per avere una legge elettorale costituzionale, ma i 6 seggi al Senato del Trentino-Alto Adige/ Südtirol e altri dettagli. Questa Regione con 1.029.000 (arrotondato) abitanti del censimento 2011, ha più senatori di Abruzzo e Friuli-Venezia Giulia che ne hanno 4, nonché di Liguria, Marche e Sardegna con 5 seggi, pur avendo tutte queste Regioni una popolazione superiore in percentuale dal 18,36% del Friuli-VG (ab. arr. 1.218.000) al 59,28 % della Sardegna (ab.arr..1.639.000) e lo stesso numero della Calabria.(ab.arr. 1.959.000), che ha il 90,37% di abitanti in più. Questa anomalia contro l’uguaglianza discende dall’equiparazione delle Province autonome di Trento (ab. 524.000) e Bolzano (504.000 ab.) alle Regioni. A ciascuna Provincia autonoma è stato attribuito lo stesso numero di 3 senatori, come alle regioni Umbria (ab. arr. 884.000 + 68,70 % di TN) e Basilicata (ab.arr. 578.000+14,68% di BZ). Non solo vi è una violazione degli artt. 3 e 48 Cost. sull’uguaglianza di voto, ma anche del 51 Cost. perché per essere eletto senatore in Provincia autonoma di Bolzano bastano 168.000 voti, mentre in Lombardia ce ne vogliono 313.000 e in Umbria 294.000.

Se il privilegio fosse limitato alla provincia di Bolzano si potrebbe inventare che si tratta di un effetto dell’accordo-Abkommen Degasperi (a quel tempo non si era ancora nobilitato in De Gasperi)-Gruber, perché abitato in maggioranza da germanofoni, maltrattati dal fascismo (una mezza verità, che come insegna il Talmud è una bugia intera), ma si avvantaggiano anche gli italianissimi trentini, alla faccia dei loro martiri Cesare Battisti, socialista, e Damiano Chiesa, cristiano sociale, perché anche in quella provincia bastano 174.666 voti per fare il senatore, sempre meno che in Basilicata: 192.666. Per la fretta, però, si son dimenticati di cambiare l’art. 57 c. 1 Cost. per il quale l’elezione del Senato è “a base regionale” e le regioni sono quelle dell’art. 131 Cost., mai cambiato, tra le quali figura, al quarto posto, la Regione Trentino-Alto Adige, che con il nuovo nome ex l. cost. n. 3/2001, Trentino-Alto Adige/Südtirol è menzionata, come Regione a Statuto speciale dall’art. 116 c. 1 Cost. e le Province autonome, a differenza delle Regioni, non sono nominate dall’ art. 114 Cost. tra le parti costitutive della Repubblica e la seconda Camera si chiama Senato della Repubblica.

Il termine per l’esercizio della delega è di 60 giorni dall’entrata in vigore della l. cost. n. 1/2020, perciò entro il 3 febbraio 2021, sembra, però, che tutti abbiano fretta, non di votare la maggioranza e il Governo, ma perché, paradossalmente, una legge applicabile subito diventa uno strumento di ricatto per tenere a freno i malumori nella sempre fremente maggioranza, appena si parla di fondi europei. Tuttavia, gli apprendisti stregoni, come insegna il cartone animato Fantasia di Walt Disney, possono non essere in grado di governare la furia degli elementi da loro stessi scatenati. Poi c’è la pandemia e le centinaia di miliardi di euro in arrivo, prima o poi, se si supera l’opposizione di Polonia, Ungheria e Slovenia, che in una federazione democratica, entità che l’Ue non è, sarebbe stata superata perché sono doppia minoranza di stati membri e di popoli .
I partiti di una volta, in omaggio al loro nome, sono andati e non tornano più, questo è un fatto, a mio avviso irreversibile, piaccia o no. Quelli esistenti non sono corpi intermedi che rappresentano il cittadino come «formazioni sociali ove si svolge la sua personalità», ma rappresentano se stessi, al più i loro dirigenti, che non so se siano (parafrasando e adattando titoli di film di Pedro Almodovar e Alexander Kluge) uomini (le donne sono troppo poche nella politica italiana) sull’orlo di una crisi di nervi o artisti sotto la tenda del circo: perplessi, di una politica ridotta a spettacolo e sceneggiata o scemeggiata, se si amano i neologismi.

Tutto in ordine? Per niente perché ad avere il coraggio, il tempo e la capacità di guardare dentro alle carte e alle 347 pagine dell’Atto del Governo sottoposto a parere parlamentare ex art.3 legge n. 51/2019, ci si accorgerebbe che la fretta è cattiva consigliera. Se non fosse scoppiato il caso di Teramo, la provincia abruzzese spartita tra Pescara e l’Aquila, un caso da manuale, che rischia di diventare un simbolo, come Danzica, provocato dal taglio lineare dei parlamentari in un sistema misto di collegi uninominali maggioritari e collegi plurinominali proporzionali.
Con 14 seggi i 3/8 uninominali calcolati ai sensi dell’art. 1 c. 1 lett. a) n. 1) della legge n. 51/2019, sarebbero stati 5, per 4 province, di cui 3 con popolazione equivalente (L’Aquila 296.491, Pescara 318.678, Teramo 307.412), tutte comprese nello scostamento del 20% ammesso in più o in meno. Con un taglio del 20% ci sarebbero stati sempre 4 collegi, anche con un taglio del 25%, se si fosse applicato il criterio di arrotondamento del Senato, cioè l’art. 2 c. 1 lett. a) n. 1) della legge n. 51/2019, ritenuti entrambi legittimi dal legislatore, anche se io dubito che il criterio più maggioritario si applichi alla Camera con la metà dei seggi, accentuando la diseguaglianza di voto censurata dalla sentenza n. 1/2014 della Corte Cost. In effetti l’obiettivo legittimo e non vietato di ridurre il numero dei Parlamentari, messa a parte la squallida motivazione della riduzione dei costi della politica, avrebbe chiesto, che il problema della rappresentanza territoriale fosse affrontato prima per stabilire una percentuale di riduzione e criteri di arrotondamento più equilibrati ovvero assumere la decisione di una legge elettorale integralmente proporzionale, che presenta minori problemi, se non prevede soglie d’accesso o molto ridotte tra l’1 e il 2 per cento. La stessa improvvisazione è avvenuta con la Circoscrizione estero ridotta da 12 a 8 alla Camera e conseguentemente da 6 a 4 al Senato. Una riduzione che non ha tenuto conto che al Senato la legge 27 dicembre 2001, n. 459, prevede 4 circoscrizioni, che hanno diritto di eleggere almeno un senatore, con la conseguenza che ora i 277 997 elettori italiani di Africa, Asia, Oceania e Antartide, il minor numero per la circoscrizione, che rappresenta la grandissima maggioranza della popolazione mondiale, eleggeranno un senatore, come i 2 685 815 italiani della circoscrizione Europa.

Si tratta di particolari, forse, ma tutti conoscono il famoso detto che “il diavolo si annida nei dettagli”, ma ci sono principi costituzionali che lo schema presentato dal governo ignora e che sono stati sollevati nei ricorsi relativi al porcellum, all’italikum e al rosatellum, ma che nessun giudice ha mai ritenuto, finora, meritevoli di attenzione. Soltanto in relazione alla legge elettorale europea c’è stata una rimessione alla Consulta, e, non a caso, da parte dei Tribunali di Cagliari e Trieste, città capoluoghi di Regioni con le due più consistenti minoranze linguistiche, la sarda e la friulana, riconosciute con la legge n. 482/1999, di cui sono stato il relatore della sua definitiva approvazione nella XIII Legislatura, dando finalmente attuazione all’art. 6 Cost. e alla Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali del 1 febbraio 1995, ratificata con la 28 agosto 1997, n. 302, mentre siamo gravemente inadempienti rispetto alla Carta europea delle lingue regionali o minoritarie del 5 novembre 1992 e entrata in vigore il 1 marzo 1998, mai ratificata a distanza di 22 anni dall’entrata un vigore e a 28 dalla sottoscrizione. Nei ricorsi già presentati si era eccepito, e a maggior ragione si eccepirà nei prossimi, che violava il principio di parità di trattamento dei parlanti lingue minoritarie, tutelate dall’art. 6 Cost. e riconosciute dalla legge n. 482/1999, che le norme speciali dipendessero dalla regione di residenza, se a statuto speciale o ordinario, e se la tutela della minoranza linguistica di competenza fosse a livello statutario, una discriminazione arbitraria, tanto che fino all’entrata in vigore della legge n. 165/2017 non rientrava nelle norme elettorali speciali proprio la più consistente minoranza linguistica riconosciuta, quella sarda, finché non sono state equiparate dalla legge elettorale vigente le disposizioni di attuazione dello Statuto speciale, nel caso di specie il d.lgs. del 13 gennaio 2016, n. 16, alle norme statutarie. La distinzione tra lingue minoritarie riconosciute dalla legge n.482/1999 e quelle contemplate dall’art. 14 bis del dpr n. 361/1957, come modificato dall’art. 1 c. 7 della legge n. 165/2017 non è stata colta dal Governo, come si desume dalla p. 2 cpv VI e dalla p. 16 alinea I della Relazione illustrativa.
L’art. 3 c. 1 lett. d) della legge n. 165/2017, richiamato dall’art. 3 della legge n.51/2019 si riferisce o, comunque, dovrebbe per mettersi al riparo da censure di incostituzionalità a tutte le minoranze linguistiche riconosciute. In Regioni a statuto ordinario ci sono minoranze linguistiche storiche della stessa consistenza o equivalente della minoranza slovena del Friuli-Venezia Giulia, che, se non fossero stati decimati dall’emigrazione, sarebbero rilevanti come insediamento territoriale. Basta pensare agli albanofoni di Calabria, agli occitani delle Valli piemontesi e ai grecanici del Salento e del Reggino.

La scarsa conoscenza delle minoranze linguistiche degli estensori dello Schema di decreto legislativo per la determinazione dei collegi, sottoposto al parere delle Commissioni Affari Costituzionali di Camera (atto n. 225) e Senato (atto n. 225), è rivelato da un altro “dettaglio diabolico” il Prospetto 20.3-Senato della Repubblica. Elementi definitori della geografia elettorale della circoscrizione a pag. 344, la quart’ultima di 347. In grande evidenza si nota un chiaro NO, in carattere maiuscolo grassetto, alla voce Minoranze linguistiche riconosciute: sono due la maggiore, quella sarda, e la catalana, lingua ufficiale della Comunità autonoma di Catalogna. Quando si è parlato del Friuli-VG (p. 16 Relaz. Ill.va) si è parlato, errando, solo della minoranza slovena, il 50% dei comuni censiti con presenza slovena sono nell’ex Provincia di Udine, non è perciò esatto che è stata concentrata nella circoscrizione che comprende le ex province di Trieste e Gorizia. Non una parola sulla minoranza friulana, la seconda minoranza riconosciuta, dopo la sarda, ma di gran lunga più numerosa della tedesca.

La parte più importante dello Schema di decreto legislativo n. 225 è la suddivisione dei collegi in uninominali e plurinominali, nel complesso e nelle singole circoscrizioni, di norma regionali alla Camera, ad eccezione di Piemonte, Lombardia, Veneto, Lazio, Campania e Sicilia, e sempre al Senato.
Alla Camera i seggi da attribuire in Italia sono 392, cioè 400 – 8 seggi della Circoscrizione estero, la ripartizione tra uninominali maggioritari e plurinominali proporzionali è indicata per ogni circoscrizione nella Tavola 1 (p.6 Rel. Ill.va) in 147 uninominali e 245 plurinominali, che corrispondono nel loro complesso al riparto previsto: 1/8 di 392= 49, quindi 3/8 (49×3)=147 e 5/8 = 245.

Al Senato i seggi elettivi sono 196, cioè 200-4 seggi C.E., ripartiti in 74 uninominali e 122 plurinominali (Tavola 2, p. 8 Rel. Ill.va), anche loro corrispondenti nel complesso alla percentuale tra maggioritari e proporzionali, poiché 1/8 di 196=24,5, quindi 3/8 (24,5×3)=73,5 e 5/8=122,5. Qui il legislatore delegato ha compiuto una scelta autonoma a favore del maggioritario, perché ben potevano essere 73 uninominali e 123 plurinominali. Una scelta non autorizzata dalla norma sull’arrotondamento prevista dal legislatore, che all’art. 2 c.1, lett. a) n. 1) della legge n. 51/2019 aveva deliberato: «Il territorio nazionale è suddiviso in un numero di collegi uninominali pari ai tre ottavi del totale dei seggi da eleggere nelle circoscrizioni regionali, con arrotondamento all’unità più prossima, assicurandone uno per ogni circoscrizione», che non è di nessuna utilità perché 73,5 è assolutamente equidistante da 73 e 74, unità che si ottengono sottraendo o aggiungendo la stessa cifra 0,5 a 73,5. Il legislatore delegato è vincolato dalla «determinazione di principî e criteri direttivi» ex art. 76 Cost., che spettano esclusivamente al Parlamento, senza scorciatoie del tipo decreto-legge, per rispettare l’art. 72 c. 4 Cost. in “materia costituzionale e elettorale”.

Proprio perché la norma del Senato favorisce il maggioritario nello stabilire l’arrotondamento all’unità più prossima, invece, che all’unità inferiore come alla Camera, e prevedendo che vi debba essere obbligatoriamente un seggio uninominale in ogni circoscrizione, l’interpretazione deve essere stretta come norma speciale. Il favor dell’uninominale al Senato deriva già dall’art. 57 c. 3 Cost., che assegna direttamente al Molise 2 seggi senatoriali fissi, unica Regione con la Vall’Aosta a non subire alcun taglio, senza la disposizione speciale, con i criteri Camera il Molise avrebbe avuto 2 seggi plurinominali, poiché i 3/8 di 2 [(2:8) x 3]=0,75, quindi 0 è l’unità inferiore, invece ne avrà 1, anche perché è l’unità più prossima, l’altro è solo formalmente plurinominale, cioè con più candidati per lista, perché elegge un solo seggio e non con il proporzionale, ma con la maggioranza relativa. Con il criterio Camera di un collegio plurinominale con 2 seggi, come in Umbria a Basilica, ci sarebbe stata una rappresentanza plurale. Lo squilibrio a favore dell’uninominale maggioritario è rafforzato dal secondo periodo dell’art. 2 c. 1, lett. a) l.n. 51/2019, di modifica dell’art. 1 c. 2 del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533: «Fatti salvi i collegi uninominali delle regioni che eleggono un solo senatore e quelli del Trentino-Alto Adige/Südtirol». Senza la norma speciale al Trentino-A.A./S, applicando la regola Senato, sarebbero spettati percentualmente 2 collegi uninominali su 6, altrimenti con la riserva di un seggio uninominale per circoscrizione 1 per ogni Provincia autonoma su 3, come Umbria e Basilicata, un’incongruenza dopo avere equiparato le province autonome di Bolzano e Trento per il numero minimo di senatori ridiventano Regione Trentino-A.A./S, per beneficiare di altra norma speciale, il carattere di furbo escamotage, per sfuggire al taglio del 36,50% è confermato, come la sottrazione di 4 seggi dal proporzionale a favore del maggioritario, che aggiunti quello guadagnato con l’arrotondamento a 74 e quello del Molise, ma in realtà 2 fanno 6/7 in più, 7/8, se si calcola anche il seggio della Valle d’Aosta, su 196 seggi sono il 3,57% con 7 e il 4,08% con 8 e proprio nella Camera con la metà dei seggi e elezione a “base regionale”, quindi con soglie regionali implicite molto elevate: con 18 seggi (Lazio e Campania) il quoziente naturale intero, la sicurezza matematica di avere almeno un seggio è (100:18)= 5,55%, quindi superiore al 3% nazionale, che comunque non garantirebbe un quoziente naturale intero (3,22%) nemmeno in Lombardia con 31 senatori.

Che fare? Evitare che si voti per la quinta volta consecutiva con una legge elettorale incostituzionale. Quindi deve essere impugnata con una serie coordinata di ricorsi, come fu fatto per l’Italikum e nel contempo aderire/promuovere iniziative per rendere più agevole il controllo preventivo di costituzionalità delle leggi elettorali, con decisioni che rendano chiaro, che il diritto di votare in conformità alla Costituzione è cosa diversa dall’essere ammesso alle elezioni ed impugnare le operazioni elettorali sollevando con i ricorsi anche l’incostituzionalità delle norme applicate. Se non c’è accertamento prima del voto il diritto non è stato garantito, a meno che, ma per le elezioni parlamentari non è possibile allo stato, che si possa evitare la proclamazione e l’insediamento di membri di assemblee elettive rappresentative di in conseguenza di norme
incostituzionali.

Un primo correttivo è di ristabilire l’impugnabilità delle operazioni elettorali preparatorie per la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica, già prevista dalla legge di delegazione del d.lgs 2 luglio 2010, n. 104, rafforzata dalla previsione in norma regolamentare parlamentare, che non si procede a convalida dei parlamentari proclamati in presenza di rimessione di norme della legge elettorale alla Corte Costituzionale e/o che la rimessione sospenda il termine per i ricorsi alla Giunta delle elezioni della Camera di pertinenza e la decisione per quelli già radicati. Per lo stesso fine bisogna equiparare, anche in via giurisprudenziale, come è avvenuto per l’Ufficio Centrale per i referendum, che gli Uffici Elettorali Centrali o Regionali, che proclamino membri di assemblee rappresentative elettive, composti integralmente da magistrati, possano rimettere norme della legge elettorale alla Corte Costituzionale. Inoltre, visti gli artt. 54 e 93 Cost., che l’Avvocatura dello Stato, che rappresenta ex lege il Governo nei giudizi elettorali, per resistere alla richiesta di rimessione deve ottenere specifica deliberazione del Governo, che se ne assume la responsabilità, dal momento che il Parlamento e il Presidente della repubblica non possono essere evocati in giudizio e l’interesse pubblico potrebbe essere rappresentato dall’intervento facoltativo del PM, al cui ufficio vanno notificati gli atti introduttivi dei giudizi in materia elettorale. Come si può constatare senza introdurre norme di rango costituzionale, perché sarebbe l’ora di attuare la Costituzione, invece, che cambiarla, fossanco per migliorarla.

Una decisione politica, che devono prendere cittadini elettori singoli e associati in assenza di un soggetto politico che dell’attuazione dell’art. 3 c. 2 Cost., faccia lo scopo del suo programma, assicurando tutti i diritti fondamentali a partire dall’istruzione alla salute minacciate dalla pandemia, con scelte di politica economica, finanziaria, tributaria e industriale, rispettosa dell’ambiente, ispirate dai principi del Titolo III Rapporti economici della Parte Prima della Costituzione, per contrastare le crescenti diseguaglianze e la tentazione di autonomie sempre più differenziate tra le Regioni.

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Felice Besostri è avvocato ed ex senatore della Repubblica. Fa parte del Circolo Rosselli di Milano