La pandemia ha inasprito le disuguaglianze economiche e sociali. Ad essere colpiti sono soprattutto i giovani e le donne, come si evince dal rapporto Svimez. Tuttavia nonostante questo quadro allarmante c'è chi vuole inserire l’autonomia differenziata nella legge di bilancio

Il 2020 è stato un anno tribolato in cui la pandemia ha portato in drammatica evidenza i troppi nodi del regionalismo, mai districati dal 2001 ad oggi, e che ora sono venuti tutti insieme al pettine.
Si pensava che il caos causato dell’autonomia differenziata in campo sanitario potesse far recedere dai propositi “separatisti” governo e Regioni del Nord, ma purtroppo questo non è avvenuto, anzi come vedremo alcuni articoli inseriti o spariti nelle bozze della legge di bilancio 2021 fanno temere il peggio.
Nel frattempo la crisi ha acuito le differenze fra le due Italie.
L’ultimo Rapporto Svimez ci informa infatti che nel Sud la pandemia non è stata una livella, ma un acceleratore dei processi di ingiustizia sociale, in atto in Italia da molti anni, che hanno ampliato le distanze tra le due parti del Paese. A soffrire di più in questo periodo d’emergenza sono state infatti le fasce della popolazione più fragili, soprattutto i giovani e le donne. Evidenziamo solo pochi dati dal Rapporto per meglio comprendere la portata del disastro in corso.

Rispetto al 2008, anno di inizio della crisi, l’occupazione giovanile è crollata nel Mezzogiorno di 573mila unità, l’emergenza sanitaria ha cancellato quasi l’80% dell’occupazione femminile creata tra il 2008 ed il 2019, riportando il tasso d’occupazione femminile a poco più di un punto sopra i livelli del 2008.
Nel 2018 sono emigrati dal Mezzogiorno oltre 138mila residenti, di cui un terzo del totale laureati, di questi, 20mila hanno scelto un Paese estero come residenza, quota decisamente più alta che in passato pur in una tendenza che si protrae da anni e che sta portando alla desertificazione demografica di ampie zone, soprattutto dell’entroterra. Quasi i due terzi dei restanti cittadini che nel 2018 hanno lasciato il Mezzogiorno per una regione del Centro-Nord, avevano almeno un titolo di studio di secondo livello: diploma superiore per il 38% e laurea il 30%.Grazie anche al vergognoso (per un Paese civile) parametro della “spesa storica” i posti autorizzati per asili nido rispetto alla popolazione sono il 13,5% nel Mezzogiorno ed il 32% nel resto del Paese. La spesa pro capite dei Comuni per i servizi socioeducativi per bambini da 0 a 2 anni è pari a 1.468 euro nelle regioni del Centro, a 1.255 euro nel Nord-Est per flettere a 277 euro nel Sud.

Nel Centro-Nord, nell’anno scolastico 2017-18, è stato garantito il tempo pieno al 46,1% dei bambini. Nel Mezzogiorno in media solo al 16%, in Sicilia la percentuale scende al 7,4%”. In sintesi il Sud sconta un ritardo in infrastrutture e servizi, scolastici e sanitari in particolare, causati anche dal sottofinanziamento statale degli ultimi vent’anni a favore delle regioni del Nord, mentre continua la perdita di popolazione residente e aumentano le persone beneficiarie di misure di…

*-*

L’autore: Natale Cuccurese è presidente del partito del Sud-meridionalisti progressisti


L’articolo prosegue su Left dell’11-17 dicembre 2020

Leggilo subito online o con la nostra App
SCARICA LA COPIA DIGITALE

SOMMARIO