Il Parlamento europeo ha varato una risoluzione molto dura nei confronti del regime egiziano, arrivando a ipotizzare sanzioni. Una decisione positiva, ma tardiva e insufficiente

Nello stesso giorno, mentre in Italia veniva approvata una modifica – certo, ancora insufficiente – delle “leggi Salvini”, il Parlamento europeo varava una risoluzione molto dura nei confronti del regime egiziano di Al Sisi. Per questo il 18 dicembre 2020 è una data da ricordare. Nel testo dell’Europarlamento si chiede che svenga svolta un’indagine indipendente rispetto alla cattura, la tortura e l’uccisione del ricercatore Giulio Regeni (che venne rapito, lo ricordiamo, il 25 gennaio 2016) e la scarcerazione immediata di Patrick Zaki, studente a Bologna, esponente di un’Ong che si occupa di diritti umani e detenuto senza processo dal 7 febbraio 2020.

La risoluzione, passata con 434 voti a favore, 202 astenuti e 49 contrari, parte dai due casi per esprimere condanna verso il mancato rispetto dei diritti umani più elementari in Egitto, giungendo a ipotizzare sanzioni. Un fatto positivo; due vicende che da noi sono molto sentite – soprattutto fuori dalle aule parlamentari – si “europeizzano”, diventano elemento di discussione forte e importante in un contesto che, con tutti i suoi limiti, rappresenta 27 paesi.

La risoluzione nata da una proposta del gruppo dei Socialisti e democratici, votata dalla sinistra del Gue/Ngl, da Verdi e Liberali, ha visto l’astensione di buona parte del Partito popolare e il voto contrario dell’estrema destra. Tutti gli europarlamentari italiani hanno votato a favore anche se la Lega, prima del voto, aveva lanciato una contraddittoria proposta in cui si tentava di prendere le difese di Al Sisi come argine alla Fratellanza musulmana e in cui si proponeva un giudizio ambiguo sulle Ong. Si tratta di contraddizioni imbarazzanti per il partito di Salvini, in Ue parte del gruppo Identità e democrazia, e per quello di Giorgia Meloni, nel gruppo Ecr ovvero Conservatori e riformisti (sic) europei.

La discussione è aggiornata al 25 gennaio quando si incontreranno i ministri degli Esteri dell’Ue. Francia e Paesi dell’Est sono contrari ad ogni forma di pressione economica e diplomatica nei confronti dell’Egitto, ancora silenzio dalla Germania mentre una spinta ad agire arriva dai Paesi Scandinavi in un’assise in cui serve l’unanimità.

Proviamo però a proporre alcune osservazioni sulla questione. Premesso il fatto che le “sanzioni generalizzate” colpiscono i popoli e rafforzano spesso i regimi, ci si domanda il perché sia facile per il nostro continente e per i Paesi europei emanare sanzioni alla Russia per fatti simili mentre diventi impossibile per sodali come l’Egitto a cui si continuano a vendere armi e con cui si stringono grandi affari.

Poi ci domandiamo perché i singoli Paesi, in primis l’Italia, non abbiano interrotto con l’Egitto le relazioni diplomatiche, bloccato la fornitura di armamenti, sospeso i contratti petroliferi, insomma affrontato realmente il regime e chi ne beneficia. Una scelta che gli Stati avrebbero potuto prendere senza l’obbligo dell’unanimità richiesta dalle istituzioni europee. Forse perché business is business?

E poi perché il Parlamento europeo si pronuncia solo ora, a quasi quattro anni dall’omicidio di Giulio Regeni, dopo che più volte le istituzioni egiziane hanno palesemente dimostrato di non voler affatto collaborare con gli inquirenti italiani e di non voler permettere di giungere a quella verità e giustizia richiesta dalla famiglia, dai legali, dalle tante e dai tanti che si sentono “dalla parte di Giulio?”

Una delle ragioni è molto triste a dirsi ma è vera. In quattro anni, nessun governo italiano fra quelli che si sono succeduti ha chiesto alla Commissione europea di pronunciarsi in materia o ha provato a portare concretamente il tema nelle istituzioni Ue. Ci indigniamo giustamente per la Legion d’Onore concessa al generale Al Sisi e c’è soltanto che da plaudire a coloro che l’hanno restituita per protesta, ma nel frattempo, come denunciato da Amnesty International lo scorso 9 ottobre, governo e l’Autorità nazionale per le esportazioni di armamenti Uama hanno confermato la consegna all’Egitto delle due fregate destinate originariamente alla Marina militare nonostante le proteste sollevatesi da più parti lo scorso giugno quando l’ipotesi divenne di pubblico dominio. Una decisione mai sottoposta all’esame del Parlamento il cui parere, ai sensi della legge 185 del 1990 che regolamenta le esportazioni di armamenti, deve essere espresso quanto vi siano esportazioni di armi a Paesi responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani. Le due fregate, Spartaco Schergat e la Emilio Bianchi, hanno un valore stimato di circa 1,2 miliardi di euro. L’affare fa parte di una commessa ancora più ampia che, dovrebbe comprendere anche altre 4 fregate, 20 pattugliatori d’altura di Fincantieri, 24 caccia Eurofighter Typhoon e 20 velivoli da addestramento M346 di Leonardo, più un satellite da osservazione, per un valore totale fra i 9 e gli 11 miliardi di euro.

Ecco, di fronte a questo affare, emergono alcune possibili ragioni per cui gli stessi che ieri hanno proposto e votato – ed è bene – una sacrosanta risoluzione, per tanto tempo hanno taciuto e non si sono opposti a questo terribile “rilancio” dell’economia italiana.