«Dallo smantellamento dello Stato sociale fino agli accordi con la Libia di Minniti e alle morti nel Mediterraneo, quante responsabilità...», osserva il regista. E sul rapporto tra Pci e cinema: «Magari avessimo oggi partiti dove si discute di arte e di cultura come allora»

In occasione del suo novantesimo compleanno, il 9 dicembre, Francesco “Citto” Maselli è stato festeggiato con una giornata on line, promossa dall’Associazione nazionale autori cinematografici, di cui è stato presidente e socio fondatore. Tante persone, di diversa provenienza culturale ed età, gli hanno fatto gli auguri.
Maestro, che cosa l’ha colpita di più di questa iniziativa collettiva e cosa l’ha commossa maggiormente?
La maratona era organizzata, oltre che dall’Anac, da Bookciak di Gabriella Gallozzi, con il supporto decisivo della Kitchen film di Emanuela Piovano. Ci tengo a ringraziare tutti. Poi, per quanto riguarda le emozioni, devo dire che mi ha molto colpito il messaggio inaspettato di Ken Loach con il ricordo di una nostra serata a cantare l’Internazionale. Ma forse più di tutti mi hanno emozionato le parole di Aldo Tortorella che mi ha sempre onorato della sua amicizia e con il quale ho condiviso non solo la militanza nel Pci (di cui era un grande dirigente) ma come dice lui «la fedeltà ai nostri ideali».

Mi sembra che dalla giornata oltre all’affetto nei suoi confronti, emergesse una gran voglia e nostalgia di cinema… come valuta la decisione di chiudere le sale? Troppo silenzio sulle sale chiuse e le professionalità del cinema?
Temo che la chiusura dei luoghi della cultura sia stata una scelta necessaria vista la terribile seconda ondata di Covid. Quindi non metto tanto in discussione la decisione in sé, quanto il fatto che è stata fatta in base alla logica che ha prevalso in tutta la conduzione di questa pandemia: prima l’economia e poi le persone. E siccome la produzione culturale e i beni culturali (musei, biblioteche, eccetera) non sono considerati settori rilevanti dal punto di vista economico, siccome i lavoratori della produzione e dei beni culturali non sono considerati lavoratori, siccome la cultura viene vista come “tempo libero”, si lasciano aperti i centri commerciali ma si chiudono i teatri, i musei, i cinema, le sale per i concerti. Senza valutare l’effetto invece devastante dal punto di vista economico, culturale e sociale che tutto questo provocherà.

Lei è sempre stato un militante, oltre che un artista, dov’è, secondo lei, che ideologia comunista e arte – in Italia, ma se vuole anche a più ampio raggio – non si sono mai incontrati?
Intanto ideologia comunista e arte si sono meravigliosamente incontrati in Unione Sovietica dove La linea generale di Ėjzenštejn, La terra di Dovženk e La madre di Vsevolod Pudovkin sono tra i capolavori assoluti della storia del cinema mondiale. Ma penso che…


L’intervista prosegue su Left del 23 dicembre 2020 – 7 gennaio 2021

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