Chi ha meno di quarant’anni vede la Thailandia come un Paese potenzialmente moderno, globalizzato ed aperto. E chiede democrazia. Si è così creata una profonda frattura generazionale con chi è cresciuto durante la Guerra fredda e ora detiene e/o sostiene il potere

«Né dio, né re, solo un uomo». Per oltre cinque mesi è stato questo lo slogan che ha riecheggiato nei campus universitari e per le strade di Bangkok diventati dalla scorsa estate il palcoscenico di imponenti manifestazioni pro-democrazia. Animate dagli studenti delle università più prestigiose, dagli artisti e dagli intellettuali, dall’emergente classe media, le proteste sono arrivate a sfidare il tabù supremo in Thailandia: la monarchia. All’inizio di agosto, è stato l’avvocato per i diritti umani Arnon Nampa il primo a parlare apertamente della riforma della più alta istituzione del Paese. «La monarchia ha più potere di quanto consentito dal sistema», ha spiegato l’attivista davanti al monumento alla Democrazia, la scultura art déco eretta nel cuore del quartiere antico di Bangkok per celebrare la fine nel 1932 dell’assolutismo nell’antico Regno del Siam.

«Questo non significa rovesciare la monarchia», ma spetta al palazzo reale esistere «seguendo un sistema di governo democratico». Un colpo per l’istituzione semi-divina che fin da bambini i Thai sono educati a venerare come simbolo dell’identità nazionale e vertice della gerarchia sociale nel Paese. Al rispetto si somma la paura: esistono pochi Paesi dove il vilipendio della famiglia reale è punito severamente come in Thailandia. Secondo il famigerato articolo 112 «chiunque diffami, insulti e minacci il re, la regina o l’erede al trono» rischia una condanna a 15 anni di carcere. Può però anche andare peggio.

Negli ultimi anni, diversi attivisti che avevano trovato rifugio in altri Paesi del sud-est asiatico sono spariti nel nulla e il loro corpo orribilmente mutilato ritrovato nel Mekong. La sera del 10 agosto la studentessa di sociologia e antropologia Panusaya “Rung” Sithijirawattanakul è salita sul palco all’Università Thammasat di Bangkok per leggere un manifesto in dieci punti: oltre all’abolizione della draconiana legge sulla lesa maestà, gli studenti chiedevano la riduzione del budget destinato al palazzo reale, una chiara distinzione tra gli asset privati di re Maha Vajiralongkorn e il fondo della corona. «Il sovrano – aveva aggiunto la ventiduenne – non deve più dare il suo sostegno ai colpi di Stato». (Nell’ultimo secolo per ben 13 volte le forze armate hanno preso il potere in Thailandia: una media di un golpe ogni 7 anni). Tutto era iniziato già qualche mese prima. A febbraio in migliaia erano scesi per le strade di Bangkok dopo lo scioglimento di Future forward, il partito fondato dal carismatico miliardario Thanathorn Juangroongruangkit, considerato la…


L’articolo prosegue su Left dell’8 gennaio 2021

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