Introduzione al libro di Left "Livorno 1921, il tormento di una nascita"

Sono cent’anni esatti. Da quel gennaio 1921 quando, al termine del XVII Congresso del Partito socialista italiano, si consumò a Livorno la scissione della componente comunista di Amadeo Bordiga, Palmiro Togliatti, Antonio Gramsci. Fu allora che il gruppo di delegati comunisti lasciò il teatro Goldoni per dirigersi verso il fatiscente teatro San Marco, dove fu fondato il Partito comunista d’Italia. Un evento indubbiamente periodizzante, nella storia della sinistra, ma nell’insieme della storia politica del ’900. E con conseguenze che arrivano ad oggi, come dimostrano anche i numerosi interventi, libri, articoli, che da mesi animano il dibattito pubblico su quei fatti lontani cent’anni. Questo libro promosso da Left è però qualcosa di più di un instant book. Non un palinsesto d’occasione, ma un contributo autonomo, plurale, critico. Non c’è dubbio che con sempre maggior forza dopo il 1989, dopo cioè lo scioglimento del Pci e il disperante fallimento delle esperienze che ne scaturirono, dal Pds, ai Ds, al Pd, alla stessa Rifondazione, l’intera vicenda iniziata nel ’21 è stata liquidata come errore, colpa, fallimento. E anche del socialismo si è detto che “è morto”. A certe “narrazioni” questa raccolta di saggi intende reagire. Senza nostalgie. Questo è certo. Ma con attenzione critica, approfondimento di temi, proposizione di prospettive diverse e più comprensive. Oggi l’Italia è l’unico Paese in Europa senza più una sinistra. Né comunista, né socialista. E neanche azionista, sindacalista, movimentista, ecologista ecc. Interrogarsi sulle ragioni remote di tutto ciò è un dovere.

Possono aiutare alcune domande radicali: a Livorno vi fu davvero la scissione dei comunisti? La separazione da Filippo Turati e dai riformisti fu un atto di puro e semplice settarismo? E infine: la fondazione del Pcd’I fu un diktat di Mosca? È evidente che a seconda di come si risponde a tali interrogativi la storia prende una piega diversa. Si capiscono e si vedono cose diverse. È necessario però che le risposte siano altrettanto nette delle domande. Nell’ordine: a mio avviso a Livorno non vi fu nessuna scissione dei comunisti dal Psi. Accadde altro. Perché altro era l’obiettivo di partenza. La frazione comunista intendeva sicuramente assumere la guida del Psi, ma facendo blocco con la maggioranza centrista di Giacinto Menotti Serrati ed espellendo i riformisti di Turati. Quindi non si voleva una scissione, al contrario una espulsione. Questa era la linea dell’Internazionale comunista (le famose 21 condizioni imposte a tutti i partiti che volessero restare nell’Internazionale). Ma gli stessi comunisti erano divisi, da una parte Gramsci, Togliatti e Angelo Tasca decisamente contrari alla scissione, che ritenevano giocoforza minoritaria, dall’altra Bordiga, Bruno Fortichiari e quanti invece volevano il “vero partito comunista italiano”, duro e puro.

Il quadro era dunque assai complesso e va colto nel suo insieme se si vuole capire qualcosa di Livorno. C’erano tre componenti di massima: la sinistra comunista, divisa nel modo ora detto, la maggioranza centrista di Serrati, che accettava le 21 tesi ma avrebbe evitato di espellere i riformisti, la destra riformista di Turati e Claudio Treves. Il congresso sarebbe stato vinto da quella delle due “estreme” (comunisti o riformisti) che fosse riuscita a trarre a sé i centristi, formando una larga maggioranza. Il che però avrebbe comportato o l’espulsione dei riformisti o quella dei comunisti. Questi i termini della partita. Decisivo fu lo scontro congressuale fra Umberto Terracini e Turati. L’intervento del comunista torinese fu di alto livello. A suo dire in Occidente c’erano le condizioni “oggettive” per la rivoluzione. Per questo occorreva un nuovo tipo di partito. Il giudizio sull’esperienza riformista non era però liquidatorio. E qui si risponde alla seconda domanda posta all’inizio. Terracini riconosceva l’“attività necessaria” svolta dal partito a guida turatiana fra ’800 e ’900, esso «nel periodo prebellico ha creato in Italia delle forti organizzazioni sindacali, ha creato se stesso come forte partito politico, ha creato le cooperative, le mutue ecc.». Dunque non settarismo, ma un’analisi articolata della storia politica nazionale e in essa del movimento operaio. Dopo la prima guerra mondiale, dopo l’Ottobre, in presenza del fascismo montante, un certo tipo di partito e di politica, secondo i comunisti, era superato. Questa…


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