Ci vorrebbe la capacità di un drammaturgo elisabettiano o la genialità del maestro del brivido per dipanare intrighi internazionali, vicende vere o presunte, follie di despoti locali, ordalie di mafie e capi carsimatici, apparizioni e crolli, deliri mistico-ideologici, miracoli, minareti e campanili, orrori tanti e stupri orrendi affogati nella rakija, tanta rakija a incendiare o spegnere, ogni cinquant’anni, la polveriera balcanica.
L’immagine migliore per raccontare ciò che è accaduto nei Balcani fra il 1980 e il 1995 (o 1999) la troviamo in As I lay dying (Mentre morivo) di William Faulkner, dove si racconta la vicenda della famiglia Burden, poveri contadini del sud degli Stati Uniti, che in occasione della morte della madre, trasportano il feretro per nove lunghi giorni fino a Jefferson per darle una degna sepoltura. Il padre Anse e i cinque figli, incontrano gli ostacoli dell’acqua e del fuoco prima di poter arrivare in città con il carro su cui la bara emana ormai un fetore terribile.
E sono proprio le difficoltà del viaggio a far esplodere tensioni e rancori che covano tra i membri della famiglia, ciascuno dei quali è prigioniero del proprio dramma privato e nasconde segreti e desideri più o meno inconfessabili, raccontati nel romanzo da ognuno dei protagonisti dal proprio punto di vista.
Nove giorni che in ex-Jugoslavia diventano nove anni, ovvero gli anni che trascorrono dalla morte di Tito (1980) al 28 giugno del 1989, giorno in cui Milosevic pronuncia il celebre discorso di Kosovo Polje sul rischio di un futuro scontro armato in difesa dell’identità nazionale serba.
Le date in questa storia sono importanti. Una in particolare. Il 28 giugno in ex-Jugoslavia non è un giorno come un altro, è un po’ come il…
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