Come se non bastasse la pandemia a creare grossi problemi, dalle elezioni presidenziali è giunto un segnale inquietante: l’ascesa del leader dell’ultradestra xenofoba, André Ventura, arrivato terzo con il 12 per cento dei voti

I portoghesi hanno eletto al primo turno il loro presidente della Repubblica. Per meglio dire, il 24 gennaio hanno rieletto (con circa il 60 per cento dei voti utili) il presidente in carica, Marcelo Rebelo de Sousa. I sondaggi che lo davano in vantaggio sui concorrenti di una cinquantina di punti percentuali sono stati confermati, dunque la vera notizia non è tanto questa quanto ciò che gira attorno a quella che sarebbe stata la passeggiata trionfale di Marcelo (qui lo chiamano tutti così, affettuosamente) se il contesto non si fosse notevolmente deteriorato. A cominciare dai numeri del coronavirus. Proprio alla vigilia della domenica elettorale il Portogallo aveva superato i 10mila decessi, ma il peggio è che 4mila di quelle morti erano avvenute nell’ultimo mese, mentre in una sola settimana il Paese registrava 74mila nuovi contagi, tanti quanti ne aveva avuti in tutto il primo semestre di pandemia.

Resterà in parte un mistero cosa abbia spinto una delle nazioni che, nella prima fase, avevano ottenuto i migliori risultati nella lotta al virus a dilapidare un capitale di esperienza propria e altrui e sprofondare in un caos ora difficilmente arrestabile. Fatto sta che, dall’autunno e fino al 15 gennaio scorso, il Portogallo ha silenziosamente optato per una soluzione moderatamente “svedese”: mascherine obbligatorie per strada, sì, ma con scuole e attività commerciali aperte, sia pure con dei limiti, sottoposti comunque a blandi controlli. All’apnea cui il virus ci costringe resistono indubbiamente meglio le economie più robuste e diversificate. Non è il caso del Portogallo che, dopo la crisi dell’euro, il piano triennale della Troika (2011-2014) e l’arrivo dei socialisti al governo nel 2015, è riuscito a far quadrare il cerchio della crescita economica accanto al pareggio di bilancio grazie al boom turistico e ai consumi interni.

L’impazienza strisciante e poi l’aperta protesta di questi settori economici, unite alla volontà ideologica (certamente ricca di preoccupazioni giuste e comprensibili, ma non meno pericolosa sul piano epidemiologico) di tenere aperte a tutti i costi le scuole di ogni ordine e grado, hanno alla fine innescato un’accelerazione pandemica che adesso sarà molto difficile frenare, anche con la quarantena severa che nel frattempo è stata decretata e che darà il colpo di grazia proprio all’economia e alla didattica che si è cercato di salvare. Parafrasando il Churchill del dopo conferenza di Monaco, si dirà che i portoghesi dovevano scegliere tra…


L’articolo prosegue su Left del 29 gennaio – 4 febbraio 2021

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