«Non faremo sparire i vichinghi con le corna se non sappiamo come ragionano quelli che gli stanno intorno»

Alessandro Portelli, uno dei più importanti intellettuali italiani, è stato insegnante di Letteratura angloamericana all’Università La Sapienza, ha collaborato con Giovanna Marini e Ascanio Celestini, ma ha anche scritto testi per Edoardo Bennato. Narratore di ibridi tra saggio, ricerca documentaria e storia sociale, come Acciai speciali, L’ordine è già stato eseguito, editi da Donzelli così come un volume straordinario e di grande potenza espressiva, tra i bei libri italiani degli ultimi vent’anni, come America profonda, una controstoria degli States vista da Harlan County, Kentucky, in una regione mineraria dei monti Appalachi dove per scriverlo è tornato per trent’anni intrecciando ricerca sul campo, fonti archivistiche, letterarie e giornalistiche.
Con Il ginocchio sul collo (Donzelli), tu che sei anche uno studioso della storia americana hai ravvisato nell’assassinio di George Floyd elementi simbolici, come “il diritto al respiro”, e commentato gli ultimi tragici fatti di cronaca. Cosa ci dice, oltre i fatti, quello che è successo e sta succedendo negli Stati Uniti?
L’intreccio di crisi – economica, sanitaria, politica – sta scavando fratture sempre più profonde in una società che si è cullata nel mito di non avere conflitti e del consenso attorno a una sterminata classe media. Fasce crescenti di quelli che si credevano middle class scivolano – o sentono che rischiano di scivolare – verso il basso e cercano capri espiatori: gli immigrati, le “élite liberali”, le minoranze che sono sempre meno minoritarie, sempre meno vogliono stare al loro posto, tutto l’apparato del governo e delle élite. Con l’aiuto della disinformazione non solo dei social ma anche di media che vanno dalla Fox a tante radio, tv e stampa locali e non, ricorrono ad armamentari ideologici da sempre presenti nel Paese, sia come patrimonio di uno zoccolo duro razzista e sciovinista (annidato anche dentro la polizia) sia anche potenzialmente come risorsa ideologica a cui fasce più ampie ricorrono nei momenti di crisi. Fra il finto vichingo con le corna e gli oltre cento rispettabili deputati e senatori che anche dopo l’assalto al Campidoglio hanno votato mozioni che non riconoscevano l’elezione di Biden, c’è un tessuto connettivo che Biden dovrà spezzare se vuole poi ricominciare a unire.
Tu sei uno dei padri della storia orale, sei autore di saggi, ma anche di un libro straordinario, America profonda, dove racconti mezzo secolo di storia di un distretto minerario americano, storia viva. Come si può ancora in un mondo sempre più liquido e digitale, velocissimo, che consuma e cancella tutto, conservare e tramandare la memoria?
Io credo che la memoria non sia tanto da tramandare e conservare quanto da costruire attivamente. La memoria non è un deposito inerte di informazioni ma il rapporto attivo e mutevole fra il presente e il passato, fra il tempo del ricordare e il tempo ricordato. Per questo non abbiamo memoria attiva del passato se non abbiamo un rapporto intenso e critico col presente. Quando incontro gli studenti, dico sempre: noi sappiamo qualcosa della resistenza, della Shoah, magari del ’68, anche perché quelli che c’erano e sono tornati ce l’hanno raccontato. Se nel 2050 qualcuno vorrà sapere come erano questi tempi in cui viviamo, come farete a raccontarlo se non tenete gli occhi aperti adesso? Pensavo che la generazione di adesso non avrebbe avuto memorie traumatiche – guerre, rivolte, catastrofi – attorno a cui costruire la memoria; col Covid, anche questo è cambiato.
Stai continuando il lavoro di Gianni Bosio, che come hai scritto «individuava nella musica popolare (distinta dalla popular music) un luogo della memoria delle classi non egemoni, e in quanto tale una fonte essenziale per ricostruire dall’interno una storia del mondo popolare». Che iniziative avete in cantiere?
Lavoriamo da una dozzina d’anni al Circolo Gianni Bosio sulle musiche migranti a Roma e in Italia. Abbiamo raccolto musica di persone che vivono in Italia e vengono da 35 Paesi diversi. Musica che hanno portato con sé e che spesso cambia di significato cambiando di contesto – ho avuto un’esperienza significativa in questo senso quando sono venuto per un evento in cui c’eri anche tu a Porto San Giorgio: un lavoratore filippino che trasformava canzoni sul conflitto generazionale in canzoni di dolore per la lontananza dal figlio rimasto in patria. Ma abbiamo raccolto anche musica che hanno composto qui e che parla dell’esperienza di migrazione («sono sempre ospite in Italia», canta un ragazzo somalo: cioè, l’Italia non sarà mai casa sua). Attorno a questa ricerca abbiamo costruito una serie di eventi (concerti, seminari) e abbiamo finora cinque cd, ed è in produzione il sesto, dedicato ai canti dei\per\sui bambini. L’abbiamo chiamato Ius Soli. L’idea è che queste musiche migranti sono la nuova musica popolare in Italia, espressione di un mondo “non egemone” e di una classe lavoratrice sfrangiata, variegata e multicolore. Una cosa che sta prendendo piede in diverse parti d’Italia è quella dei cori multietnici: una forma di “integrazione” multilaterale, in cui italiani nativi e immigrati scambiano canzoni e imparano gli uni dagli altri.
C’è uno scrittore norvegese che amo molto, Dag Solstad, che ha scritto romanzi dove indaga sulla scomparsa dell’intellettuale nelle società occidentali dopo il crollo del muro di Berlino. Lui pensa che «L’individuo intellettuale, riflettente e letterato, è fuori dai giochi». È così?
Io ho l’impressione che l’individuo intellettuale in quanto tale fuori dai giochi ci sia stato sempre. Da una parte, perché sceglieva di collocarsi fuori, per chiudersi in una zona esclusiva e protetta oppure perché da fuori poteva avere una visione critica, autonoma. Dall’altra, perché in realtà anche chi crede di mettersi fuori dai giochi sta solo giocando in un altro modo: anche quello dell’intellettuale nella torre d’avorio è un ruolo sociale previsto e regolato. A me sembrano ancora utili due formulazioni di Gianni Bosio: l’«organizzatore di cultura» e «l’intellettuale rovesciato». Tutte e due vanno contro questa idea dell’intellettuale e della persona di cultura come microcosmo autosufficiente. L’intellettuale rovesciato prima di parlare ascolta, prima di insegnare impara; quindi ha bisogno degli altri per svolgere la sua funzione, è lui stesso l’esito di un processo sociale. E la sua funzione consisterà poi nell’usare gli strumenti di cui dispone per trasformare quello che ha imparato in azione sociale: non a caso, Bosio non ha fatto in tempo a finire di scrivere il suo libro più importante anche perché ha dedicato il suo lavoro a costruire organizzazioni, dal Nuovo Canzoniere italiano all’Istituto Ernesto De Martino alle leghe di cultura (Piadena, Acquanegra). E anche io so che senza realtà organizzate, dal Circolo Gianni Bosio al manifesto, tutto quello che faccio non avrebbe senso. Una postilla sul termine “letterato” – anzi, come dicono in inglese, the literati, inteso un po’ ironicamente come gruppo esclusivo di conoscitori e sapienti. Ha a che fare con il tempo in cui le “lettere” – intese proprio come conoscenza dell’alfabeto – erano privilegio di gruppi ristretti. A mano a mano che sempre più persone hanno avuto accesso alla scrittura, i “letterati” hanno cercato altre forme di comunicazione che salvassero l’esclusività; più si allarga l’accesso democratico alle forme della parola, più vengono inventate forme nuove di esclusione. Per esempio, l’esperienza della cosiddetta didattica a distanza dimostra che non è affatto vero l’idea che internet è a disposizione di tutti e nelle stesse forme. Una parte del lavoro dell’organizzatore di cultura – da Gianni Rodari a Mario Lodi ad Albino Bernardini – è quella di spezzare questa spirale antidemocratica della tecnologie della comunicazione.
Invece tu parlando di recente di Dominio di Marco D’Eramo, che descrive le dinamiche sociali e culturali del neoliberismo che riduce tutto a merce, una ideologia che si forma come Natura, interrogandoti sul che fare citi Sara Ogan Gunning, la grande voce musicale delle lotte dei minatori di Harlan County, che chiudeva un suo memorabile brano (“Odio il sistema capitalistico”) dicendo: «Che possiamo fare contro questa gente così forte e potente? Ebbene, ve lo dico io: possiamo lottare, lottare e lottare».
Diciamo che non sono mai stato bravo a indicare soluzioni e strategie – mi considero un eccellente seguace e un mediocrissimo leader… Chiaro che si tratta di restituire forza ai sindacati, di intrecciare i movimenti, e su questo non sono certo io quello che sa come si può fare. Nell’ambito delle cose che so fare, si tratta di cambiare l’aria intorno alle parole. Da una parte, ascoltare le parole – ascoltare criticamente, anche per confutare e contraddire, ma ascoltare; non faremo sparire i vichinghi con le corna se non sappiamo come ragionano quelli che gli stanno intorno; e indurremo po’ meno gente a stargli appresso se non continueremo a dare l’impressione che noi élite (perché questo siamo) non li stiamo a sentire. Dall’altra, dare forza alle parole: parte del nostro mestiere e del nostro privilegio è l’accesso alle forme della comunicazione, quindi spetta a noi fare in modo che le parole non ascoltate escano dal silenzio ed entrino nel discorso sociale (la storia orale è soprattutto questo). E poi, condividere i nostri strumenti: la subalternità alle false notizie e ai pregiudizi deriva anche dalla crisi del pensiero critico sociale – che a sua volta non è tanto un effetto della malvagità dei media e dei social quanto di decenni di aggressione all’istruzione. La scuola pubblica negli Stati Uniti è un disastro; da noi, sono un paio di generazioni che cerchiamo di trasformare il sistema scolastico da un luogo di formazione di cittadinanza a una megascuola professionale di avviamento ai lavori. Ecco, per quelli che come me non hanno in mano lo strumento dello sciopero, in un tempo che non è di barricate, una forma di lotta può essere la difesa della libertà di parola e di pensiero a partire dai luoghi in cui si formano.

 

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L’intervista corsara è stata pubblicata su Left del 5-11 febbraio 2021

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