Nel romanzo Il giorno del giudizio l’incontro con una donna sconvolge l’esistenza di un imam che comincerà a condannare senza remore gli islamisti. Come scrive in questo articolo la traduttrice italiana, la letteratura rappresenta per la scrittrice libanese uno strumento di lotta contro ogni forma di oppressione. Un impegno che ha segnato la sua vita e quella del fratello, Lokman Slim, l’attivista e intellettuale assassinato il 4 febbraio

«È strano che un uomo debba spiegare i motivi per cui certuni si astengono dall’ucciderlo, come se si scusasse per essere ancora vivo, rivolgendo le sue scuse sia agli uccisi, ai quali non si è aggiunto perché il fato ha decretato così, sia ai vivi, tra i quali è un intruso». Questa è una riflessione dell’imam minacciato di morte protagonista del romanzo Il giorno del giudizio, scritto dall’autrice ed editrice libanese Rasha al-Amir nel 2002 e pubblicato pochi giorni fa per La tartaruga, (che fa parte del gruppo La Nave di Teseo ndr), nella sua traduzione italiana. Parole forti, che fanno sentire come, già venti anni fa, le minacce del fanatismo fossero una realtà palpabile per la scrittrice il cui fratello, Lokman Slim, attivista e intellettuale impegnato in prima linea contro l’uso ideologico e politico della religione, è stato assassinato il 4 febbraio scorso.

Per Rasha al-Amir la letteratura non è solo un mestiere. È impegno civile a favore di una società basata sul diritto di cittadinanza e sulla memoria, non sul confessionalismo, una società che dovrebbe essere orgogliosa del suo straordinario patrimonio letterario che ha 1500 anni di storia e trarre dal passato lezioni per evitare di incappare, sempre, negli stessi errori. «Sai tu che cos’è il giorno del giudizio? Sì, sai che cos’è il giorno del giudizio?». Questo versetto del Corano, una domanda posta da Dio all’essere umano che, nella sua limitatezza, non ha la facoltà di immaginare gli sconvolgimenti della fine dei tempi, è riportato in epigrafe del romanzo. Per l’imam narratore della lunga e intensa lettera d’amore che è quest’opera, uomo che convive con i testi sacri della tradizione islamica, il suo giorno del giudizio arriverà in questa vita, al termine di una lunga attesa in cui ha vissuto passivamente, per repressione e mancanza di coraggio, la sua professione e la sua vita. Un uomo che si imbarazza come un bambino quando si trova da solo con la donna che lo attrae, un uomo dilaniato da un profondo conflitto interiore perché, nel contesto in cui vive – un Paese arabo volutamente senza nome – si sente alienato, esule, estraniato. Tutto quello che fa è cercare di sopravvivere in un Paese dove il governo è repressivo e corrotto e gli islamisti provano con tutti i mezzi a convertire le coscienze e a inculcare a giovani deboli che…


L’articolo prosegue su Left del 12-18 febbraio 2021

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