La rivolta alla Boğaziçi University contro la nomina del rettore imposta dal Sultano si è allargata ad altri atenei e alla società civile. I giovani contestano un sistema di potere violento e clientelare. E dalla loro parte si sono schierati intellettuali, avvocati e giornalisti

«Attraverso attività educative rivolte all’essere umano, la nostra missione è formare individui qualificati che interiorizzino i valori nazionali e morali». Così, sul proprio sito internet, la Recep Tayyip Erdoğan University, fondata nel 2006 nella città natale del presidente turco a Rize, spiega il principio fondante l’ateneo. È qui, nell’università che porta il suo nome, che Erdoğan il 12 febbraio ha preso parte all’inaugurazione di un nuovo edificio della facoltà di ingegneria e architettura, un allargamento che ha salutato nel discorso pubblico: «Grazie agli investimenti abbiamo ampliato infrastrutture e risorse umane, il sistema educativo superiore turco ha raggiunto un livello avanzato».

L’ateneo che porta il suo nome non è ancora così avanzato: ospita 19mila studenti e 1.133 professori, ma resta al 106esimo posto su 175 istituti universitari turchi. Decisamente più prestigiosa è un’altra università, sul Bosforo, la Boğaziçi University: lì, mentre Erdoğan tagliava nastri nell’accademia plasmata a sua immagine e somiglianza, la protesta di docenti, studentesse e studenti non accennava ad arretrare.
A scatenarla, all’inizio dell’anno, è stato un fulgido esempio di dipendenza del sistema educativo dal governo: il primo gennaio, con un decreto presidenziale, Erdoğan ha nominato a capo di Boğaziçi il professor Melih Bulu. Il nuovo rettore scelto da fuori, dall’alto, vicinissimo al presidente, dal 2002 è membro del partito di governo Akp (si è anche candidato a parlamentare nel 2015) e non lavora all’università. Un outsider, come è stato definito, la cui nomina ha infiammato l’ateneo, che rigetta in toto l’imposizione di un rettore esterno calpestando la pratica democratica delle elezioni universitarie.

Dal 4 gennaio il campus è in fermento: i docenti stazionano di fronte all’ufficio del rettorato, dandogli le spalle, gli studenti manifestano, portano cartelli e bandiere in corteo, si allargano ai movimenti di base (a cominciare da quello Lgbtqi+, che è stato subito usato come spauracchio dalla stampa governativa e filo-governativa per screditare gli studenti). Hanno anche scritto una lettera a Erdoğan, in cui elencano le loro rivendicazioni: non solo le dimissioni di Bulu e il rilascio degli arrestati, ma anche la fine della politica dei commissari straordinari, forma di ingerenza governativa in tutte le istituzioni del Paese, che ha permesso a Erdoğan – a colpi di decreti presidenziali – di…


L’articolo prosegue su Left del 19-25 febbraio 2021

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