Da un lato c'è un centrosinistra occupato ad inseguire il governo per il governo, la famosa vocazione maggioritaria. Dall'altro una sinistra subalterna, incapace di affrontare i nodi e le motivazioni della propria esistenza. È da qui che nasce il mio No a Draghi

L’incarico a Draghi, tecnico non eletto e con un programma mai proposto al Paese, certifica, al di là di acrobazie verbali, la sconfitta dei partiti, incapaci del compito loro deputato e sancito dalla Costituzione: «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale».

Al di là degli effetti economici che le scelte di questo governo produrrà, e che già si intravedono con la scelta di Giorgetti al ministero dello Sviluppo economico e non solo, prolifera un pericoloso tarlo che produce una degenerazione profonda nella coscienza sociale: la riproposizione sostanziale, ideologica, del superamento tra destra e sinistra.

Come interpretare altrimenti la convergenza nelle dichiarazioni di esponenti teoricamente politicamente distanti? Zingaretti: «Condividiamo con Draghi la stessa visione». Berlusconi: «Draghi va nella direzione da noi indicata». Salvini: «Con Draghi idea d’Italia condivisa». Questo governo di tutti, “governo dei migliori”, cosa altro racconta al Paese se non il superamento della differenza tra destra e sinistra, che di fatto risulta utile solo al capitale e al neoliberismo, che ha bisogno di mani libere e nessuno a contrastare?

Si legge una sottile, sottaciuta ma robusta linea che contraddistingue questo secolo in perfetta continuità culturale: la parabola del Movimento 5 stelle, né destra né sinistra perché superati; il renzismo che dichiarava di aver fatto le cose più a sinistra di sempre, ma che dialogava con Marchionne e dileggiava il sindacato; i governi Conte che, al di là della personale “figura dignitosa” dell’ex premier, è stato capace di governare con la Lega, poi con il Pd e Leu, e, fosse riuscito, pure con il centro moderato attraverso i responsabili.

Un tempo si sarebbe definito trasformismo, oggi “punto di equilibrio”. Insomma un’impostazione culturale, ideologica, pre-politica che accomuna al fondo tutte queste esperienze: una contaminazione e degenerazione di lungo corso, frutto avvelenato di un centrosinistra occupato ad inseguire il governo per il governo, la famosa vocazione maggioritaria, ma anche di una sinistra subalterna, incapace di affrontare i nodi e le motivazioni della propria esistenza e di contrapporsi a quel filo narrativo.

Mi rifaccio a Pietro Ingrao nel 1989 al congresso di scioglimento del Partito comunista italiano: «…una fase costituente se non vuole essere una fluttuazione verso non si sa dove, suppone che siano almeno identificati e nominati interlocutori visibili; che essi rappresentino forze politiche consistenti; che vi sia almeno un retroterra di lavoro comune con loro e un minimo di intese preliminari … Su quali basi si parla allora di fase costituente?»

Il nodo vero è rimasto quello: chi siamo, chi vogliamo essere, cosa si vuole costruire, con chi. Non affrontare quei nodi, ha portato da un lato alla nascita del Pds, poi Ds, infine Pd, che ancora non sa cos’è né cosa vuole essere. D’altro lato a una sinistra incapace di andare oltre ipotesi costituenti verso soggetti nuovi immaginando che essi risolvano in sé quelle lacune e che restano sempre privi d’identità e d’anima.

Dapprima Leu, chiusa prima ancora di nascere, poi formule di reti per nuove aggregazioni, come la recente e già silente Equologica. O la persino divertente riproposizione di Leu come soggetto politico (Arturo Scotto), escludente però chi ha votato No a Draghi (Sinistra Italiana): un’operazione di appropriazione, una Leu sostanzialmente costituita dal solo Mdp-Articolo 1, e quindi altro rispetto l’iniziale (la ricomposizione di diverse anime della sinistra), utile forse solo a dribblare difficoltà di presentazione delle liste (tecnicismi) essendo simbolo già presente in Parlamento: opportunismo contingente, non progettualità.

Insomma, ci troviamo di fronte a questioni profonde che in 32 anni non sono state affrontate né risolte e perciò senza tentare di ripensarsi e riappropriarsi di una funzione storica. È da qui che nasce il mio No al governo Draghi: non si può sempre dire di sì in nome di opportunismi dal fiato corto per mascherare l’assenza di analisi, di proposta e di prospettiva. La sinistra, tutta, purtroppo, è ferma ancora al 1989 e all’orizzonte non si vede un altro Ingrao.

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L’autore: Lionello Fittante è cofondatore associazione politico-culturale #perimolti ed è membro del movimento politico èViva