Dal Biennio rosso fino alla conquista dei diritti civili negli anni Sessanta, la presidente della Fondazione Nilde Iotti ricostruisce la partecipazione e il ruolo delle donne nel Pci. E oggi? «Nonostante ci siano tante donne capaci, raramente le loro competenze vengono riconosciute e valorizzate, purtroppo soprattutto nei partiti di sinistra»

Il 21 gennaio del 1921 al Teatro San Marco di Livorno, andava in scena la nascita del Partito comunista d’Italia. All’alba della dittatura fascista, la sinistra italiana conosceva la sua prima grande scissione e oggi a cento anni da quel giorno, varrebbe la pena ricordare quanto le donne abbiano contribuito alla costruzione di quel progetto politico in cui si sono sviluppati i principi e i valori della Repubblica. Con Livia Turco, ultima responsabile nazionale delle donne comuniste e presidente della Fondazione Nilde Iotti ripercorriamo qual è stato il ruolo delle donne nella Resistenza, nella Costituente e poi all’interno dello stesso partito.

«Senza le donne, senza le loro battaglie di emancipazione e di liberazione, il Pci non avrebbe potuto essere quel partito nazionale, di popolo, costruttore della democrazia, della giustizia sociale, della modernizzazione del Paese. Lo si dimentica troppo nella celebrazione di questo centenario. La prima guerra mondiale fu un evento spartiacque nella condizione e nella coscienza delle donne. Costrette a sostituire gli uomini, sfruttate, mal pagate con a carico la fatica del lavoro e il peso delle responsabilità famigliari, furono le prime a ribellarsi e ad animare il biennio rosso del 1918-1920: gli scioperi, gli assalti ai forni, furono le manifestazioni esasperate del loro stato d’animo che tuttavia non trovava nel partito socialista la guida politica che sarebbe stata necessaria per trasformare questi moti spontanei, in azione e lotta organizzata e cosciente. Colsero il loro disagio i sindacati e alcune donne che appartenevano al gruppo dell’Ordine Nuovo diretto da Antonio Gramsci. Sull’onda di quelle battaglie, nacque il 10 marzo del 1921, Il manifesto “Il nostro femminismo” scritto da Camilla Ravera che inaugurò sul giornale la rubrica “la Tribuna delle donne”. L’avvento del fascismo portò all’organizzazione clandestina del partito comunista d’Italia e del fronte popolare. Le donne furono presenti in questa dura fase, subirono processi, carcere, torture, vissero l’esperienza dei campi di concentramento e furono tessitrici preziose della rete nella lotta antifascista e partigiana. Si batterono in modo unitario per il loro diritto di voto, parteciparono in massa alla elezione della Assemblea Costituente e al referendum che scelse la Repubblica: furono elette 21 di cui 9 comuniste, le madri della nostra Repubblica che hanno inciso nella elaborazione di articoli fondamentali della nostra Costituzione. Lavorarono tutte insieme lasciandoci in eredità la lezione di un mirabile ed efficace gioco di squadra».

Che cosa accadde dopo, riuscirono le donne a mantenere viva questa complicità costruttiva?
Le donne comuniste investirono sulla costruzione dell’Udi (Unione donne italiane), associazione autonoma ed unitaria delle donne che si batteva per l’emancipazione femminile. Fu Palmiro Togliatti, nell’importante discorso pronunciato alla prima Conferenza nazionale delle donne comuniste nel 1945, a…


L’articolo prosegue su Left del 5-11 marzo 2021

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