Uscita dall’oscurità del fascismo l’Italia assunse l’ordinamento repubblicano fondato sulla Costituzione. Quella dei costituenti fu una generazione formata nel ferro e nel fuoco della resistenza alla dittatura, della guerra, della lotta di Liberazione. Aveva combattuto unita nonostante le differenze ideologiche fortissime dalle quali era divisa. E unita, seppur tra distinguo e contrasti di princìpio, costruì l’edificio della nostra democrazia. Popolari, socialisti, comunisti, liberali, repubblicani videro nel partito politico il mezzo attraverso il quale i cittadini, riuniti in base alle proprie idee, alle proprie convinzioni più profonde, avrebbero potuto partecipare alla vita politica e determinare «con metodo democratico» le scelte del Paese.
Per decenni quei partiti hanno combattuto una serrata battaglia di idee e visioni del mondo. Era uno scontro tra forze che orientavano, che indicavano prospettive anche opposte ma che, contemporaneamente, costruivano il Paese. Decenni di sviluppo, affermazioni dei diritti di cittadinanza come l’istruzione, lo Statuto dei lavoratori, il welfare universale pensionistico e sanitario.
La necessità di quella forma di aggregazione politica non è affatto venuta meno, nonostante anni e anni di affermazioni demagogiche sulla morte delle ideologie e la nocività dei partiti stessi. Ma le ideologie non sono affatto morte. Si crede forse che nella rivendicazione di Viktor Orbán e dei suoi simili della “democrazia illiberale” non vi sia una radice ideologica?
Le strategie politiche nascono in base alle idee che generano programmi politici. E non si può, di fronte alla crisi perenne che attanaglia il Partito democratico, non chiedersi: qual è l’identità politica di questo partito? A chi si rivolge? Qual è la proposta programmatica che promuove per «determinare la politica nazionale»?
Quando, dopo la stagione dell’Ulivo e la nascita del governo Prodi II (la lista unitaria dell’Ulivo alla Camera aveva ottenuto oltre il 31%), prese piede l’idea di…
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