È in corso un grande processo interculturale, nonostante le varie narrazioni sovraniste. Così, artisti di origine africana approfondiscono le proprie radici culturali, il rapporto con i Paesi ex coloniali, le migrazioni. Una nuova e originale ricerca testimoniata da due mostre a Firenze

Nel 1521, ad Anversa, un pittore tedesco di Norimberga disegna il ritratto della serva di un mercante portoghese, una ragazza africana ventenne di nome Katharina. Non sappiamo da quale parte dell’Africa ella venisse, né quale fosse il suo primo nome. Del pittore invece sappiamo moltissimo: era Albrecht Dürer. Nel 2021 a Firenze, la città dove il ritratto di Katharina è conservato, un artista francese di sangue russo per parte di padre e brasiliano di madre crea tre ritratti (non proprio disegnati, ma a suo modo assai grafici) di fiorentini di origine africana, e li espone in una villa che era stata acquisita nel 1905 da un altro celebre pittore tedesco, Max Klinger, per farne una residenza per artisti e un laboratorio di creatività. Il luogo è Villa Romana e il francese è Alexis Peskine, nato a Parigi nel 1979 ma a suo modo protagonista di una sorta di diaspora africana non solo contemporanea, visto che la madre è di Bahia, e dunque discendente di schiavi e per questo non così lontana da Katharina.

Cinque secoli separano questi manifesti ideali di due globalizzazioni che nell’ovvia distanza di situazioni e di contesti pongono con eguale forza il tema del rapporto con l’altro e della sua percezione, e dunque di un’identità culturale frutto di contaminazioni dinamiche. Con la differenza che Dürer guardava a l’Africa che era fuori da sé, e dunque totalmente altra; Alexis Peskine invece ridiscute criticamente il rapporto tra culture facendo venir fuori l’Africa che è in lui. Il Cinquecento europeo diventava moderno scoprendo altri mondi. Il mondo postmoderno ha ora bisogno di scoprire se stesso guardandosi dentro e cercando il suo cuore in tasca, per cogliere e decifrare un’articolazione di più complessa di quanto narrazioni sovraniste e rigurgiti identitari lascino intendere.

l netto delle limitazioni pandemiche, merita il viaggio una mostra piccola ma preziosa come A piantare un chiodo, tutta ospitata dentro un parallelepipedo di vetro nel giardino di Villa Romana, in via Senese poco oltre le mura di Firenze, in una campagna che ricorda un altro fenomeno di cultura cosmopolita, quella del Grand tour e dei nordici che coltivavano l’Italia tra Otto e Novecento (fino al 20 marzo, su appuntamento). Sono soltanto tre opere, realizzate a Firenze da Peskine nel mese di gennaio presso il sistema di residenze d’artista Murate art district, nell’ambito del succoso progetto Black history month, una riflessione ampia sulla cultura nera nelle sue varie declinazioni che incrocia arte, musica, teatro, letteratura.
Solo tre opere, dicevamo, ma che opere! Peskine ricorre spesso al video e alla fotografia per sviluppare un…


L’articolo prosegue su Left del 12-18 marzo 2021

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