Era il marzo del 1871 quando a Parigi nacque la repubblica in nome del popolo, la «nuova società», come scrisse Marx. In 62 giorni, prima di essere stroncata con una ferocia inaudita, quella rivoluzione dimostrò che le classi lavoratrici avevano una precisa idea di Stato laico e solidale

Erano già 18 anni che Napoleone III, dopo aver sovvertito la Repubblica nel 1852, regnava su una Francia proiettata verso una solida leadership continentale. Con una popolazione di due milioni di abitanti, Parigi ormai rivaleggiava in grandezza con Londra. Il barone Haussmann ne aveva profondamente trasformato il vecchio volto medievale, radendo al suolo intere zone e sostituendo i grandi boulevard alle stradine medievali, troppo consone a quella malattia rivoluzionaria da cui il popolo francese, e segnatamente quello della capitale, sembrava non guarire mai.

Dopo la grande rivoluzione del 1789, altre due erano seguite: le “tre gloriose giornate” parigine del luglio 1830 – immortalate quasi in diretta nel celebre quadro di Delacroix in cui la Marianne è la libertà che guida il popolo contro il ritorno assolutista di Carlo X – e una terza rivoluzione con alcuni caratteri ormai dichiaratamente socialisti nella “grande primavera dei popoli” del ’48.
Ora, nel 1870, quel fuoco – l’imperatore lo sapeva bene – covava ancora sotto la cenere. Lo alimentavano conoscenze di lunga data: proudhoniani, radicali e neo-giacobini, e soprattutto seguaci del comunista utopista Louis-Auguste Blanqui, irriducibile nel predicare l’insurrezione armata come unica via per il riscatto del proletariato. Come non fosse bastato, a costoro si erano aggiunti dal 1864 anche inquietanti volti nuovi: quelli dei rappresentanti francesi della Prima Internazionale e dei marxisti.

A preoccupare l’imperatore non erano però solo questioni interne. A est si stava profilando lo spauracchio di un forte Stato germanico unito, a seguito della crescente influenza che la Prussia di Guglielmo I e di Otto von Bismarck stavano esercitando sui sovrani degli altri 37 staterelli tedeschi. Le tensioni si erano andate via via inasprendo, finché il 19 luglio 1870 Napoleone III dichiarò guerra. La decisione gli fu fatale: la perizia dei comandi germanici e i cannoni Krupp misero rapidamente in ginocchio l’esercito francese. Il 2 settembre l’imperatore capitolò e due giorni dopo una sollevazione popolare portò alla proclamazione della Repubblica, spazzandolo via dalla storia.

La guerra però non finisce. Il governo composto di borghesi conservatori e moderati è assai riluttante. Più che i prussiani, teme il popolo, che invece si mostra assai determinato a proseguire la lotta. Migliaia di volontari accorsero nelle fila della Guardia nazionale, mentre altri, i franc-tireurs, ingaggiarono una vera e propria guerra partigiana contro i prussiani, che reagirono con rappresaglie sui civili e incendi di villaggi.
È Parigi a dare l’esempio. Nella città, sotto tiro dei cannoni prussiani che l’assediano sin dal 19 settembre, decine di…


L’articolo prosegue su Left del 12-18 marzo 2021

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