Ricostruire l’arena dei Gladiatori come appariva nell’800. È l’idea fissa del ministro Franceschini che vuol far partire i lavori nel 2021. Ma una copertura integrale non serve e anzi potrebbe creare problemi di conservazione. Ben altri sono gli interventi di cui l’Anfiteatro Flavio avrebbe bisogno

l dibattito sulla costruzione dell’intero piano dell’arena nel Colosseo è iniziato oltre un secolo fa, rianimandosi periodicamente. La prima proposta risale al 1895: promotore presso il competente ministero fu l’Ufficio regionale per la conservazione dei monumenti di Roma, nella persona dell’ingegnere Domenico Marchetti che suggerì al ministro di completare gli sterri dei sotterranei per rendere di nuovo praticabile e libera la circolazione sul piano dell’arena. Il secondo proponente fu, intercessore il ministro dell’Educazione nazionale, il governatore F. Boncompagni Ludovisi. Al soprintendente ai monumenti di Roma, Terenzio, fu chiesto di procedere allo scavo integrale dei sotterranei e allo studio di una eventuale copertura ai «diversi fini della protezione dei resti sottostanti, della restituzione dell’aspetto del monumento, della creazione di un vasto piano utile per i convegni… che l’apertura della via dell’Impero rende ogni giorno più facili e frequenti».

All’ipotesi del governatore di utilizzare il piano dell’arena per i convegni di cui sopra fece seguito la proposta di Terenzio, vòlta a provvedere «ancora meglio alla destinazione dell’anfiteatro per solenni adunate». Eppure lo stesso Terenzio, nel 1932, a fronte dei danni compiuti dagli avanguardisti in occasione delle adunate, tra cui «frantumazioni» di marmi e capitelli, aveva rappresentato al ministro il gravissimo pericolo del ripetersi di grandi affollamenti  al Colosseo e chiesto di scongiurare il ripetersi di simili concessioni del monumento. Ciononostante, nel 1932 si ventilò di sostituire l’originaria copertura di legno con un lastrone di cemento armato utile a garantire «una visione molto più esatta della struttura originale dell’Anfiteatro e della sua grandiosità» e necessario per le «speciali adunate». Il progetto non ebbe seguito.

Completato lo sterro dei sotterranei alla fine degli anni 30 del secolo scorso, nel 1949 fu riproposta, per il Giubileo del 1950, l’ipotesi di una copertura, che in quell’occasione fu realizzata con un semplice impiantito di legno, probabilmente poco o affatto praticabile, in parte poggiato sui bordi dell’arena, ma sicuramente sostenuto da un fitto impalcato, il tutto rimosso al termine dell’anno santo. Si trattò di un evento eccezionale, effimero, come effimera fu, nel 1985, l’audace riproposizione di un settore della cavea e di una porzione dell’arena nell’ambito della prima mostra realizzata nel Colosseo, a cura dell’Ipsoa, L’economia tra le due guerre

La storia insegna e si ripete. Singolari coincidenze si ravvisano tra le proposte passate e attuali. I ministri competenti per la conservazione dei monumenti accolsero proposte avanzate da terzi, inattuabili perché ignoto era lo stato di conservazione della porzione ancora interrata dei sotterranei e per l’entità della spesa. Analoghi gli scopi: ripristino dell’aspetto originario del monumento, utilizzo di uno spazio utile per i “convegni” oggi funzionale, mutatis mutandis, a ospitare spettacoli. Assente ora lo scopo primario dell’azione di tutela, la conservazione del bene, mai citata nella volontà di ripristino. Il soprintendente Terenzio assunse un atteggiamento ondivago, da un lato la condanna per i danni prodotti dalle adunate, dall’altro il plauso per una ricostruzione che quelle stesse adunate avrebbe favorito e incrementato: una posizione difficile e immutabile nel tempo.

Come fosse il piano dell’arena oggi lo vede e lo comprende chiunque, perché una porzione è già stata ricostruita dalla Soprintendenza archeologica di Roma grazie ai fondi dello sponsor, l’allora Banca di Roma, con la direzione dell’architetto Piero Meogrossi e di chi scrive. Inaugurato nel 2000 il piano ha finora ospitato, in rare occasioni, eventi a carattere altamente istituzionale e/o umanitario, come si addice a un monumento unico come il Colosseo i cui sotterranei sono un monumento nel monumento, l’unica parte dell’anfiteatro che ci è giunta,  in assenza di riusi, cristallizzata nell’assetto che aveva alla fine del V secolo quando, anche per effetto dell’innalzamento della falda, fu completamente interrata.

Il progetto fu il risultato della stretta collaborazione tra la facoltà di Ingegneria dell’Università degli studi di Roma La Sapienza, l’Istituto archeologico germanico e la Soprintendenza. L’intervento, funzionale alla ricomposizione della continuità architettonica tra la cavea, la galleria di servizio circostante l’arena e l’arena stessa, fu filologicamente realizzato all’originaria quota d’età flavia, progressivamente innalzata in epoche successive. La realizzazione dell’opera fu resa possibile dall’assenza di strutture conservatesi in elevato, tali da pregiudicare l’intervento.

La Soprintendenza valutò anche la fattibilità di una copertura più ampia ed elaborò nel 2002 il progetto preliminare per l’estensione fino alla mezzeria dell’invaso del piano già realizzato, in prosecuzione della quota flavia. Oltre la mezzeria la quota cambia: l’arena del III secolo è più alta di circa 30 centimetri rispetto al piano originario.

La ricostruzione dell’intero piano, oltre a non configurarsi quale proposta originale, poggia su presupposti superati dagli eventi e dagli interventi già posti in opera. La sua realizzazione non porterebbe alcun beneficio alla capienza: il numero di presenze contestuali nel Colosseo non può superare le 300 unità per esigenze connesse alla sicurezza, come previsto dal vigente piano di evacuazione. Inoltre, oggi dal piano dell’arena la visuale del gigantismo architettonico è già garantita, così come la visuale opposta, dall’attico verso l’arena.

In passato era ignoto lo stato di conservazione delle strutture: oggi le informazioni derivanti da anni di studi, ricerche, analisi, rilievi, carotaggi, scavi archeologici, restauri delineano un quadro molto preciso delle modalità di costruzione dei sotterranei e delle successive modifiche. In sintesi: le murature originarie, pilastri in blocchi di tufo alti circa  6,50 metri, posano su fondazioni lineari e/o curve dalla profondità variabile tra metri 3,25 e 4,80; la loro costruzione fu seguita dalla posa in opera, sull’intera superficie ipogea, di un piano in conglomerato cementizio dello spessore di circa 50 centimetri. E su questo piano poggiano, prive di fondazioni, le murature costruite nei secoli successivi per rinforzare gli alti pilastri di tufo. Per gettare le fondazioni furono intaccate e inglobate strutture di epoche precedenti il bacino della Domus aurea, bacino di cui non si è mai rinvenuto il piano di fondo, presumibilmente non realizzato. Le fondazioni flavie sono gettate entro terreni perennemente imbibiti per la presenza di una cospicua falda che affiora a pochi centimetri di profondità dal piano ipogeo e tracima in condizioni di pioggia continua e/o abbondante fino a raggiungere, talora superare, il metro di altezza allagando l’intero invaso, con conseguente nocumento delle strutture, in particolare le originarie di tufo.

L’attuale copertura parziale ha giovato alla conservazione delle sottostanti murature, grazie a una continua circolazione dell’aria che garantisce la riduzione del tasso di umidità permanente. Una copertura integrale, anche se utilizzata per periodi brevi, altererebbe un microclima consolidato generando, a lungo andare, problemi conservativi. L’insieme delle strutture, benché restaurate, costituisce un sistema molto delicato nel quale è possibile intervenire solo ed esclusivamente con operazioni puntuali, utili alla comprensione del funzionamento del “dietro le quinte”, quali la riproposizione delle varie tipologie di montacarichi, uno dei quali già posto in opera, o del secondo livello ligneo ove attestato: in sintesi, l’arredo tecnico della macchina anfiteatrale.

Precludere ai visitatori, anche se non continuativamente,  la visione generale dei sotterranei e concedere solo a pochi la possibilità di visitarli con biglietto dedicato e a numero chiuso (tutti si affacciano ai vari livelli lungo i bordi dei corridoi per goderne la vista); alterare un’immagine consolidata, ormai storicizzata così come l’erronea ricostruzione della cavea operata da Terenzio; disperdere le energie e umiliare le competenze dei tecnici dell’Amministrazione per consentire la realizzazione di spettacoli, spettatori presenti o meno, quando le funzioni istituzionali del personale sono vòlte alla conservazione del bene e non al suo utilizzo improprio; devolvere una somma ingente per un intervento non necessario e potenzialmente dannoso per un monumento unico e noto a tutto il mondo, assimilandolo a tante altre arene: tutto ciò appare incomprensibile, alla luce di tanti altri interventi di cui il monumento avrebbe bisogno. Se ne citano solo alcuni: la metà del settore meridionale, versante Celio, è al primo livello ancora interrato e chiuso al pubblico. Da almeno 20 anni giace negli uffici dell’Amministrazione un progetto di scavo archeologico, restauro e sistemazione dei percorsi da aprire ai visitatori.

I livelli superiori del monumento, dal terzo all’attico, aperti alle visite lungo percorsi confinati, necessitano di consistenti e urgenti restauri; la galleria intermedia, funzionale in antico alla distribuzione dei percorsi, l’unica conservatasi nel suo assetto post anno 217, attende la prosecuzione e il completamento dei restauri. Percorso di enorme interesse e suggestione, sulle cui pareti si conservano graffiti, intonaci dipinti: sulla parte scoperta della galleria andrebbe ripristinata la volta, come già realizzato nel cosiddetto passaggio di Commodo, per preservare quanto conservatosi e ridurre le dannose infiltrazioni d’acqua che percolano nel secondo livello, ove si susseguono gli spazi museale ed espositivo. Ancora: il Colosseo non è un monumento isolato, ma è parte preponderante di uno spazio architettonico dai contorni illeggibili. La sua area di rispetto, profonda 17 metri, conservatasi lungo il versante labicano, è stata ripristinata solo lungo un tratto del fronte meridionale grazie a un intervento condiviso con il Comune di Roma ed è in attesa di completamento. Anche le disiecta membra (frammenti sparsi ndr) della porticus che circondava l’anfiteatro lungo tre lati sono note solo agli studiosi, e solo un pannello didattico ne ricorda tuttora l’esistenza, benché non manchino proposte di recupero architettonico e funzionale dell’area monumentale. Lo smaltimento delle acque piovane e di falda, problema enorme su cui si sono cimentati i tecnici dal XIX secolo, è ancora in attesa di una soluzione definitiva. Sono solo alcuni esempi.

Accanto all’assenza di motivazioni di merito, sussistono anche problemi di metodo. Un progetto di tale rilevanza non può essere considerato alla stregua di un progetto ordinario, ma deve prevedere un’ampia concertazione preventiva con gli organi tecnici competenti, come avvenuto per la costruzione parziale dell’attuale piano dell’arena. Non solo, dovrebbe ottenere l’approvazione di quello che un tempo era il competente Comitato di settore, organismo ormai emarginato.

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L’autrice: Rossella Rea è archeologa, già direttore del Colosseo per la Soprintendenza speciale per i Beni archeologici di Roma


L’articolo è tratto da Left del 19-25 marzo 2021

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