Media e istituzioni fecero a gara per negare la portata dell’attentato di Macerata quando il neofascista Traini sparò a caso contro persone di origine africana ferendone sei. Ora un libro fa piena luce sulla «lente bianca auto-assolutoria» che fu utilizzata per narrare e alterare i fatti

Il libro curato da Marcello Maneri e Fabio Quassoli, Un attentato “quasi terroristico”. Macerata 2018, il razzismo e la sfera pubblica al tempo dei social media, edito da Carocci, analizza con rigore la costruzione sociale, egemonizzata dai media tradizionali e dai politici, dell’episodio stragista consumato il 3 febbraio 2018, quando un neofascista, già candidato alle elezioni comunali per la Lega, sparò a caso su passanti africani, ferendone sei.

Il “quasi terroristico” del titolo potrebbe a prima vista apparire un’espressione pusillanime uscita su qualche giornale o sui social. Non è così. Si tratta di una locuzione cui gli autori arrivano muovendo dalla constatazione che “terrorismo” non è termine da adoperare serenamente se ci si immagina di definirlo con “esattezza scientifica”. La categoria di “terrorismo” ha un originario e ineliminabile potere performativo: non indica tanto un fenomeno, quanto agisce strategicamente, quando un potere preesistente o in formazione, istituzionale o almeno pubblico, evoca l’irruzione di un pericolo, di una minaccia, e propone con rituali partecipati la riparazione di una comunità in nome di valori profondi. In altre parole, il terrorismo non lo si descrive: lo si evoca, lo si dichiara e lo si usa.

Nel caso dell’attacco di Macerata, il tentativo, promosso da Roberto Saviano, di lanciare con un messaggio su Twitter un appello per definirla come terrorismo razzista non riuscì, per la mancata messa in atto da parte di agenti sociali accreditati e influenti di quei rituali di riparazione, senza i quali la categoria non decolla.

La definizione straniante di «quasi terrorismo» risulta efficace; essa è infatti il risultato, e non il presupposto, della ricerca, legittimato dalla qualità del suo percorso. Meglio, dei suoi percorsi: sei piste, seguite dai nove ricercatori, seguono rispettivamente il dialogo su Twitter, l’inter-discorsività tra i social e la stampa, il racconto dei Tg, la straordinaria diffusione di una notizia fuorviante e ingannevole (quella dei cori inneggianti alle foibe durante la manifestazione di Macerata), la pervasività del discorso razzista nei media italiani, la discussione dell’attentato su Wikipedia con i conflitti emersi per giungervi e le differenze tra le varie edizioni linguistiche di questo importante attore mediale.

L’appello di…


L’articolo prosegue su Left del 26 marzo – 1 aprile 2021

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