Durante il Ventennio numerosi Comuni dettero la cittadinanza onoraria al capo del fascismo. Cento anni dopo in alcune città non è passato un giorno: l’onorificenza è ancora lì “grazie” alle barricate delle destre per impedirne la revoca. Mentre a Liliana Segre la rifiutano

Certe pagine storiche non possono non bruciare e infiammare ancora. Nel 1923, pochi mesi dopo il suo arrivo al governo, le città presero a conferire in massa la loro cittadinanza onoraria a Benito Mussolini. Tra le prime Bologna, Napoli, Firenze. Il boom ci fu l’anno seguente, nella primavera del 1924 assunse le fattezze di un’operazione celebrativa in pompa magna. Complici, ma era un pretesto, l’anniversario della Grande guerra e l’insediamento del nuovo Parlamento, dopo elezioni martoriate da gravissimi episodi di squadrismo. E il rapimento e l’assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti erano dietro l’angolo. Anche grazie a questi provvedimenti di matrice sublimante, il dittatore si accingeva ad assurgere al rango di duce, figura mitica e avulsa dal presente, proiettata sul palcoscenico dei millenni. È passato un secolo, ma siamo fermi lì. In diverse parti della penisola l’onorificenza è tuttora valida. Nel 2017 il problema era stato sollevato, con un’interrogazione parlamentare rivolta al ministro dell’interno Marco Minniti, dal segretario nazionale di Sinistra italiana. Nicola Fratoianni gli chiese se non intendesse «valutare la sussistenza dei presupposti, anche mediante iniziative di natura legislativa, per revocare tutte le cittadinanze onorarie a Mussolini. Non un approccio giacobino alla memoria, bensì una scelta in linea con la Costituzione repubblicana, perché non si possono onorare nello stesso elenco il fondatore del fascismo e chi lo ha combattuto».

Un appello però caduto nel vuoto. Anzi, bypassato dallo stillicidio di cronache. Vediamo gli ultimi casi. Inizio marzo…


L’articolo prosegue su Left del 26 marzo – 1 aprile 2021

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