Mentre il colosso Jindal chiede soldi all'Italia per far ripartire la produzione, ma lo Stato potrebbe entrare nel capitale dell'azienda con la maggioranza delle azioni. Sarebbe la risposta giusta alla crisi dell'impianto siderurgico

Se non fosse drammatico sarebbe ridicolo. L’azienda siderurgica di Piombino cessa di vivere con la fermata definitiva dell’altoforno nel 2014. Da allora, tre accordi di programma a capo di una area di crisi complessa che ha portato solo ammortizzatori sociali. Si sono susseguiti, Kaledh, Cevital e Jindal che aveva dato una pia illusione di ripartenza della laminazione e della costruzione di uno anzi due ma forse tre forni elettrici, per produrre acciaio.

Finalmente da Jindal arriva una specie di piano industriale, loro lo chiamano rapporto preliminare del piano industriale che ci dice che ha “investito” 343 milioni di euro da quando è arrivato a Piombino ma ci dice anche che la fabbrica ha necessità di un grande investimento e chiede allo Stato di impegnarsi su una cifretta che si aggira intorno ai 280 milioni di euro che permetterebbe a Jindal di costruire un forno elettrico, e una bella sistemata ai treni di laminazione. Ovviamente con l’utilizzo di 5 anni di cassa integrazione e l’abbattimento del costo energetico per il forno elettrico.

Intanto i lavoratori di quella fabbrica sono smarriti, sfiduciati, stanchi, senza contare chi ha già perso il lavoro da anni o chi rischia di perderlo come le lavoratrici della mensa, ma sono donne e uomini che hanno pur sempre una dignità. Davvero il siderurgico Jindal, che è tra i primi venti produttori siderurgici del mondo, chiede allo Stato italiano i soldi per un grande investimento a Piombino. Forse è arrivato il momento di riflettere sulla provocazione-sfida che ci lancia Jindal, che dentro al suo conto mette spese per l’acquisto, le perdite di esercizio e i soldi del circolante che comunque ha prodotto anche ricavi. Ma a Piombino cosa serve?

Credo che Piombino abbia bisogno di un lavoro certosino che si sviluppi con l’unità delle forze sindacali e politiche. Oggi abbiamo un governo dalle larghe intese, con dentro tutto l’arco parlamentare da sinistra a destra, quindi una vera occasione per dare risposte vere e concrete a partire dall’ingresso dello Stato, in questo stabilimento. Tutti hanno chiaro che Piombino non può vivere solo di turismo, quindi serve il rilancio del settore siderurgico che ovviamente non potrà basarsi sui tre treni di laminazione, in contemporanea. Quindi dovremmo puntare, su un nuovo treno a rotaie che sarà fornito di blumi, per essere trasformati in rotaie, da Jindal, che li farà arrivare dall’India in attesa di un forno elettrico a carica di preridotto. Trovare un accordo con le acciaierie del nord che potrebbero fornire le billette per la Gsi e il Tmp.

Per fare questo, lo Stato, deve avere la maggioranza delle azioni in Jindal. Occorre che la politica dia vere risposte, perché tutti i lavoratori oggi a libro paga, non saranno occupati, quindi la politica deve modificare la legge sull’esposizione all’amianto e portarla per lo meno al 2014. Sembrerebbe una richiesta campata in aria ma invece è un semplice diritto dei lavoratori ad aver riconosciuto l’essere stati esposti a quel fattore cancerogeno. Questo la politica può e deve farlo. Dobbiamo esplorare l’ipotesi di isopensione usando la cassa integrazione. Dobbiamo avere uno spaccato dei lavoratori che possono smantellare i vecchi impianti, passando da una formazione pagata con le politiche attive della Regione.

Dobbiamo smantellare i vecchi impianti per rilanciare l’occasione per gli imprenditori a tornare ad investire su Piombino per poterlo risollevare dalla crisi. Dobbiamo puntare sui fabbisogni di un territorio (compito della politica) per avviare formazione nelle scuole, affinchè si possa preparare i ragazzi. La politica deve trovare come espropriare i terreni inutilizzati, dopo tre anni, vincolando le aziende a ripartire o convertire in tre anni la loro attività, oppure lo Stato interviene con l’esproprio e rimette a disposizione di nuovi imprenditori, quelle aree.

Insomma, a me pare che ora sia il momento giusto per Piombino, per ottenere risposte dalla politica che in questo momento ci dice che vuol dare risposte concrete ai cittadini e allora chi meglio di questo arco parlamentare, può dare risposte! Piombino non deve morire, è già stato ferito abbastanza, Piombino deve rinascere e i politici devono farlo rinascere, non hanno più scuse.

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L’autore: Mirko Lami è segretario generale Cgil Toscana