Tra i progetti di innovazione sociale a Torino c’è una portineria di comunità per aiutare i bambini nello studio e gli anziani soli e in difficoltà con le nuove tecnologie. Il racconto di Giovanni Damasco, direttore della Rete italiana della cultura popolare che ne è l’artefice

«Alzati che si sta alzando la canzone popolare…», cantava Ivano Fossati. Oggi una portineria di comunità, una radio delle tradizioni, un portale dei saperi, l’archivio partecipato, portano in vita la radice profonda della cultura popolare. Tutto nacque per caso e semplicemente. Tutto venne alla luce per creare comunità di prossimità, la grande ambizione era voler far parte di una collettività del dono, partendo dal concetto di identità locale, non settaria, individualista, ma altruista e davvero solidale.

«La Rete italiana della cultura popolare ebbe inizio ufficialmente nel 2009 – racconta Giovanni Damasco, il direttore – quando dopo un lungo dialogo con i territori io e alcuni visionari pensammo che la cultura non fosse solo metropolitana, ma che anzi, quella popolare potesse avere una forza propulsiva per scardinare ciò che non ci piaceva del presente. Allo stesso tempo volevamo che non si tradissero quei principi e idee di collettività che avevano reso grande la cultura popolare. Mentre ci si occupava di tradizioni, nascevano iniziative come la Notte della taranta, si scopriva una socialità profonda e vitale. Aperta agli altri. E man mano che arrivavano migrazioni diverse, rumeni, albanesi, marocchini, quelle identità che cercavamo di ripescare dal passato si mischiavano con i nuovi arrivi, creando incontri-scontri vivi e difficili che credemmo da subito potessero diventare il motore del nostro Paese. Un motore veloce e in grado di cambiarlo in meglio, questo Paese, nonostante le difficoltà che nascevano dall’incontro con l’altro. Questa era la nuova cultura popolare che nasceva sotto i nostri occhi. E noi ne fummo felici e approfittammo dell’occasione per creare una rete che raccontasse tutto questo e che diventasse il luogo del meticciato». Gramsci docet.

Fu proprio il filosofo sardo ad inserire la produzione culturale popolare in un contesto sociale, la storicizzò e la rese un’alternativa alla cultura dominante. E così, partendo da questi presupposti, la Rete oggi riattiva comunità e tende la mano alle solitudini.

Non sarebbe bello se ricevere l’aiuto di cui hai bisogno fosse allo stesso tempo un modo per aiutare gli altri? «Siamo partiti da qui. Perché si può generare un cambiamento nella vita di qualcun altro proprio quando si decide di entrare a fare parte della sua storia», precisa Damasco. Noi siamo le…


L’articolo prosegue su Left del 2-8 aprile 2021

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