Cara Gabriella, mi chiamo Becky, sono nata in Congo e vivo a Treviso da 28 anni.
Ho sempre avuto la passione per le Barbie, forse addirittura quasi una ossessione.
Credo di averne possedute più di 100. Non mi è mai importato del colore della loro pelle, solo una cosa era fondamentale: la lunghezza dei capelli. Dovevano essere incredibilmente e innaturalmente lunghi e lisci. Ricordo che appena me ne regalavano una, il mio sguardo andava sulla chioma, mi chiudevo nella mia cameretta felice e liberavo la mia creatività. Mi trasformavo in una perfetta parrucchiera che con forbici e spazzola creava acconciature a mio parere molto glamour.
Mia figlia ha la mia stessa mia passione per le bambole ma non si sofferma mai sui loro capelli. Per lei è divertente cambiare loro i vestiti, come fanno tutte le sue amiche, farle camminare, correre, nuotare e vivere come delle compagne di gioco. Le mie Barbie invece erano sempre da sole, con i loro capelli spesso massacrati dalle mie mani. Guardo la mia bambina e vedo che i suoi ricci non sono crespi, indomabili, privi di forma, che tendono al cielo invece che alle spalle, sono più morbidi e gestibili. Guardo me allo specchio e vedo una cicatrice sulla testa, chiazze sparute di vuoto cosmico e capelli rovinati da anni di acido, stirature, code strette e treccine fitte.
Quando ero bambina ero come il miele per gli orsi, attiravo non solo sguardi ma anche mani curiose che si sentivano in dovere di toccare la mia testa, accompagnando il gesto a frasi come: “Che bei capelli da negrettina”, “che riccioli esotici”,”ma che bel cioccolatino crespo”.
Per questo motivo ho sempre provato a nasconderli e camuffarli.
Il razzismo inconsapevole di questi gesti ha fatto sì che crescessi con un grande complesso, sentendomi come un animaletto diverso dagli altri ma la resilienza e la determinazione mi hanno spinta a fare della mia debolezza una forza.
Da 7 anni mi occupo di capelli Afro, insegno alle mamme adottive e alle giovani ragazze a trattarli in modo naturale, lasciando liberi i ricci. Basta code strizzate, parrucche, trattamenti chimici.
Ho una linea di prodotti che faccio fare con ingredienti del tutto naturali.
Mentre nel mio salone, con le mani accarezzo e districo ricci meravigliosi, racconto alle bambine che nessuno deve convincerle che i loro capelli non sono belli e insegno loro come rispondere agli estranei che glieli toccano per strada.
Sono diventata una donna felice e una imprenditrice di successo ma mi sono sempre chiesta se quei gesti fossero solo ignoranza o razzismo.
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Cara Becky, il razzismo è anche ignoranza. Conosco bene la sensazione perché accade molto spesso anche a mia figlia. Capita che noi mamme, a volte pensiamo che siano dei gesti in fondo carini, simpatici, di apprezzamento quando invece sono delle vere e proprie micro-aggressioni razziste.
Quando non riesci a stabilire dei confini sociali, quando le persone si sentono autorizzate a fare gesti che mai farebbero su bambini bianchi, vuol dire che il razzismo è latente, non dichiarato ma non meno esplicito. Il rispetto che si ha per un essere umano che non conosci e che il buon senso e la buona educazione non ti fanno toccare, cade come d’incanto quando si ha di fronte un ragazzino o una ragazzina nera. Sono le barriere dell’intimità che ci dicono chi siamo e con chi abbiamo a che fare. Credo che la battaglia che stai portando avanti sui capelli afro sia fondamentale ed importante.
La cultura antirazzista passa anche da qui.
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