Grazie soprattutto al petrolio, Luanda ha vissuto per anni un boom economico che ha attirato milioni di persone. Ma l’aumento del benessere non è stato equo e anzi ha acuito disuguaglianze strutturali. Anche per questo, ora, le giovani generazioni della capitale reclamano una svolta politica che abbia ricadute in tutto il Paese

Luanda, capitale e porto principale dell’Angola, con oltre otto milioni di abitanti, è una delle tante metropoli dell’Africa sub sahariana che in questi ultimi anni si sono rese protagoniste di uno sviluppo economico notevole e rapidissimo.

Con una crescita rapida, sostenuta, negli anni passati, dall’alto prezzo del petrolio e dagli ingenti prestiti dell’Fmi e del governo cinese, la città ha mutato progressivamente aspetto e composizione sociale. Grandi edifici, nuove opere pubbliche, hotel di lusso, centri commerciali ma anche grandi opportunità d’investimento e di sviluppo sono apparsi nel giro di poco tempo e moltissime persone, per lo più giovani, attratte dall’idea di una vita migliore e differente, si sono spostate dalle province alla città. Il massiccio flusso migratorio non è stato solo interno ma anche da altri Paesi africani, dalla Cina, dal Portogallo, dal Brasile, dal Libano, tutti attratti dalle grandi opportunità che l’Angola offriva e che in verità ancora offre. Una corsa a un nuovo Eldorado che aveva convinto molti che l’Angola sarebbe stata la nuova Dubai e che i soldi del petrolio avrebbero potuto risolvere tutto. Ed effettivamente sembrava così, con le file di portoghesi che dal Portogallo chiedevano il visto all’ambasciata per venire a lavorare in Angola, con la classe media angolana che cresceva in maniera esponenziale ed era tutta proiettata alle nuove opportunità di business e con le fasce più povere della società che avevano la speranza di migliorare la propria condizione di vita.

Esemplificativo di quel momento, le zungueiras, instancabili venditrici ambulanti che…


L’articolo prosegue su Left del 9-15 aprile 2021

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