Dopo i sei miliardi del 2016, una nuova cascata di euro dall’Europa, almeno altri 5 miliardi, per trattenere 4 milioni di profughi e rifugiati sul suolo turco. Una vera manna per il presidente Erdoğan alle prese con problemi politici interni e con l’economia in picchiata

Il “sofa-gate” come è stato battezzato (la sedia negata a Ursula von der Leyen), ha distolto l’attenzione dalle ragioni dell’incontro fra la presidente della Commissione Ue, accompagnata dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel, col presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. C’è stata una missione che ha portato le autorità Ue prima in Libia e poi in Tunisia per il contrasto all’immigrazione “illegale”. Ankara era l’ultima tappa.

Pochi giorni prima, il 25 marzo, si era riunito il Consiglio europeo chiamato a discutere soprattutto di vaccini. Ma alla fine il solo risultato ottenuto era stata l’approvazione di un accordo per una cooperazione più stretta con Erdoğan, in cambio di un impegno di Ankara a mantener fede all’impegno di risolvere le tensioni, soprattutto con la Grecia, nel Mediterraneo orientale.

Le relazioni con la Turchia, dopo gli accordi del marzo 2016 che hanno garantito 6 miliardi di euro in cambio dell’impegno a non far entrare profughi in Europa, senza sottilizzare sui mezzi utilizzati, hanno avuto momenti di forte criticità. Nell’ottobre 2019 l’invasione nel Nord est della Siria, dei cantoni sotto controllo curdo del Rojava e il tentativo di realizzare in quella fascia occupata una “sostituzione etnica”, cacciando i curdi per far posto a profughi siriani provenienti da aree diverse del Paese, avevano creato tensioni.

Non solo per il ruolo svolto dai curdi nella sconfitta dell’Isis – la gratitudine non attiene alla geopolitica – quanto perché si rischiava di far saltare il traballante equilibrio nella regione. Gli attacchi turchi in Iraq avevano amplificato il fastidio verso le mire espansionistiche di Erdoğan. Ad inizio del 2020 poi, la crisi in Libia raggiungeva il suo apice. Mentre l’Ue si cimentava in fallimentari conferenze di pace, la Turchia scendeva in campo a sostegno di al-Sarraj, premier di un governo riconosciuto a livello internazionale, portando armi e miliziani siriani comandati da ufficiali turchi.

Verso la Turchia non sono scattate sanzioni, sia per la “minaccia dei profughi” sia perché erano cessate le esplorazioni delle navi turche alla ricerca di giacimenti di gas naturale nelle acque di Grecia e Cipro. Erdoğan aveva aperto i colloqui con Atene in materia di zone economiche esclusive per lo sfruttamento marittimo.

Il quadro è cambiato fra febbraio e marzo. Il giuramento del nuovo governo libico, di unità nazionale, impone l’uscita di scena di forze militari straniere, in primis quelle turche e russe, dal Paese. Si apre una fase di mediazione in cui Erdoğan ha il coltello dalla parte del manico e ne ha immediatamente profittato per…


L’articolo prosegue su Left del 16-22 aprile 2021

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