La pandemia, con tutti i suoi morti, ci ha obbligati a concentrarci sulle cose essenziali. Una sorta di “primum vivere” generale, con la rinuncia a tante cose e abitudini che caratterizzavano la nostra vita precedentemente. Abbiamo riscoperto l’essenziale, che anche il semplice sopravvivere, fosse anche il solo stare chiusi in casa con i propri cari e con poco altro, è una cosa importante che rende caduco tanto altro che prima consideravamo importante. I governi europei ne hanno tratto la deduzione che la cultura fosse inutile, o quantomeno di secondaria importanza rispetto alle altre urgenze. Ma nella cultura vivono e lavorano migliaia di persone, di cui si è fatto finta di dimenticarsi. Persone che, in tempi normali, avevano come lavoro quello di farci riflettere sull’esistente, di trasmetterci valori del passato, di mantenere e arricchire la cultura che abbiamo ereditato dalle generazioni precedenti. La pandemia ha fermato tutto questo.
Oltre alla mancanza di tutto quello che il mondo della cultura apporta alla nostre vite, i lavoratori di questo settore si sono trovati senza lavoro “a tempo indeterminato”. Mentre un ristorante può aprire e chiudere secondo i vari colori, una pièce teatrale non può essere riavviata in poco tempo. I lavoratori francesi della cultura, dimenticati dal governo e senza una prospettiva per la riapertura dell’attività, hanno dato vita a un ampio movimento di protesta.
Tutto è partito da Parigi, dove a inizio marzo è stato occupato il Teatro dell’Odeon, un luogo simbolico perché nel ’68 vi si erano svolti dibattiti permanenti che coinvolgevano artisti, professori, lavoratori, studenti. Ma in poco tempo molti altri luoghi hanno seguito l’esempio dei lavoratori parigini: in poche settimane oltre cento luoghi sono stati occupati in tutta la Francia. Alcuni sono stati sgomberati (come il teatro di Bordeaux, su richiesta del neo sindaco dei Verdi) ma…
Leggilo subito online o con la nostra App
SCARICA LA COPIA DIGITALE