L’hate speech consiste in quelle espressioni che «diffondono, incitano, promuovono o giustificano l’odio razziale, la xenofobia, l’antisemitismo o altre forme di odio basate sull’intolleranza inclusa l’intolleranza espressa dal nazionalismo aggressivo e dall’etnocentrismo, la discriminazione e l’ostilità verso le minoranze, i migranti e le persone di origine straniera» (Raccomandazione n. 20 del 1997 del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa).
Perché ci sia hate speech è necessario che concorrano tre elementi: la manifesta volontà di incitare odio, un incitamento che sia idoneo a causare atti di odio e violenza, e il rischio che tali atti si verifichino. Come noto, i social network e i messaggi d’odio in essi contenuti si rivolgono ad una platea pressoché indefinita e proprio per questo sono particolarmente pericolosi.
Come ha posto in evidenza il progetto La Mappa dell’intolleranza n. 5 dell’associazione Vox-Osservatorio italiano sui diritti, di cui sono fondatrice insieme alla dottoressa Silvia Brena, è proprio in contesti, come quello attuale, in cui le discriminazioni emergono con forza e in cui aumenta il rischio concreto dell’inasprimento di forme di odio.
La velocità e la forza di diffusione del discorso dell’odio online hanno spinto il legislatore italiano a predisporre strumenti normativi ad hoc, anche sulla scorta delle esperienze di alcuni importanti Stati europei. Tale predisposizione stimola in prima battuta il costituzionalista a condurre una profonda riflessione sui limiti consentiti alla libertà di manifestazione del pensiero, di cui all’articolo 21 della Costituzione: la Carta può tollerare i discorsi d’odio? La risposta è di segno negativo: la Costituzione, infatti, pur garantendo la libertà di manifestazione del pensiero, non può in alcun modo legittimare l’odio.
Come noto, la Costituzione è nata con l’intento di reagire ad un drammatico passato di violenza e discriminazione. È infatti nel principio di uguaglianza e nella tutela dei diritti inviolabili dell’uomo che…
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