Irrilevanti dal punto di vista militare. Anzi, protagonisti di un’esperienza controproducente, che ha portato alla morte di numerose vittime innocenti. Rubagalline, profittatori ed estorsori. Ma anche vendicatori assassini e criminali di guerra. Sono solo alcuni dei luoghi comuni attribuiti ai partigiani che compongono il ricco – ahimè – arsenale della retorica anti resistenziale in Italia. Una mix di falsità, racconti parziali e banalizzazioni costruiti attorno alla vicenda della Liberazione che hanno iniziato a diffondersi sin dal dopoguerra, per poi sedimentarsi negli anni della costruzione della cosiddetta “memoria condivisa” (quelli post ’89, per intenderci, quando Berlusconi portava per la prima volta al governo esponenti del Movimento sociale italiano, era il 1994, o quando Violante insediandosi alla presidenza della Camera chiedeva di «riflettere sui vinti di ieri» in riferimento ai ragazzi di Salò, era il 1996), ed infine frantumarsi in pillole velenose pronte ad invadere la rete all’epoca dei social.
«Assistiamo al proliferare di discorsi sulla Resistenza sempre più appiattiti sul presente e semplificati, e proprio per questo efficaci» dice a Left Chiara Colombini, storica e ricercatrice presso l’Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea. «In Italia – prosegue – non manca la memoria della lotta partigiana, il punto è che essa tende ad allontanarsi sempre più dalla conoscenza storica. E ciò accade purtroppo a causa della circolazione di distorsioni e luoghi comuni, ma non solo. Anche chi vorrebbe alimentare una memoria non ostile ai partigiani talvolta tende a rinunciare alla complessità e ad inaridire il discorso sulla Liberazione».
Evitare questa deriva, riportando la vicenda partigiana nel proprio contesto, ricostruendo l’intricata trama di desideri, necessità, paure, vincoli materiali di chi scelse di opporsi al nazifascismo mettendo a rischio la propria vita, è lo scopo dell’ultima opera di Colombini, Anche i partigiani però…, saggio pubblicato nella…
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