«Ho fatto vedere ai ragazzi come Elsa Morante ha trasformato l’isola di Procida in un capolavoro di immagini e sensazioni»

«Le isole del nostro arcipelago, laggiù, sul mare napoletano, sono tutte belle … In primavera, le colline si coprono di ginestre: riconosci il loro odore selvatico e carezzevole, appena ti avvicini ai nostri porti, viaggiando sul mare nel mese di giugno… la mia isola… ha varie spiagge dalla sabbia chiara e delicata, e altre rive più piccole, coperte di ciottoli e conchiglie, e nascoste fra grandi scogliere. Fra quelle rocce torreggianti, che sovrastano l’acqua, fanno il nido i gabbiani e le tortore selvatiche, di cui, specialmente al mattino presto, s’odono le voci, ora lamentose, ora allegre. Là, nei giorni quieti, il mare è tenero e fresco, e si posa sulla riva come una rugiada».

La descrizione che fa di Procida il giovane protagonista de L’isola di Arturo, è fra quelle che più mi è rimasta dentro. Elsa Morante non ha alcun intento documentario. La geografia di quei luoghi deve molto più alla sua immaginazione che alla realtà. Sublimata attraverso un susseguirsi di nomi ed aggettivi che fanno riferimento all’intera sfera sensoriale. Leggendo quella descrizione, vediamo dei luoghi, ovviamente. Ma riusciamo anche ad ascoltarne i rumori e a sentirne gli odori. Insomma un capolavoro.

Ogni anno, i primi giorni di scuola, alle medie, ripeto un esperimento. Senza distinzione tra le classi. Appoggio una mela sulla cattedra che ho spostato al centro dell’aula, dopo aver disposto i banchi tutt’intorno. I ragazzi devono farne una descrizione. Utilizzando i cinque sensi. Perché possano riuscirci aggiungo un’altra mela. Che possono sbucciare e toccare. Far rotolare. Per le seconde e le terze è diventata una consuetudine. Nelle prime, mi guardano con sospetto. «Professore, in che senso una descrizione? È solo una mela», mi hanno chiesto quest’anno Gaia e Noemi. Le più coraggiose. «Ragazze, guardatela quella mela. Con attenzione. Soffermate lo sguardo. Cambiando il punto di osservazione. Noterete particolari che il solo “vedere” non vi avrebbe permesso», ho risposto. Aggiungendo subito. «E non accontentatevi delle superfici. Dell’esterno. La mela ha un sapore. Ogni tipo di mela ne ha uno, differente. E poi abbandonatevi agli odori. Identificateli e associateli. Trasformateli in parole. Che diventeranno memorie». Prendo il…


L’articolo prosegue su Left del 30 aprile – 6 maggio 2021

Leggilo subito online o con la nostra App
SCARICA LA COPIA DIGITALE

SOMMARIO