Il presidente dell’Anp ha rinviato le elezioni di maggio e luglio. Una situazione già vista ma questa volta la responsabilità non è tanto di Israele quanto da imputare alla paura di perdere che investe tutti i leader politici palestinesi tranne Barghouti, sicuro vincitore delle presidenziali

Tanto rumore per nulla. Il 29 aprile le tanto attese elezioni palestinesi sono state rinviate a data da destinarsi dal presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) Abu Mazen: non si voterà né il 22 maggio per le legislative né il 31 luglio per le presidenziali.
La decisione era nell’aria, i palestinesi se l’aspettavano, dopotutto sono 15 anni che non si va alle urne e ogni volta che ci si prova la sospensione è l’unica meta. Ma sono anche tanti quelli che non nascondono la rabbia: i sondaggi davano un’affluenza sopra il 70per cento e una genuina voglia di esprimersi.

La giustificazione per il rinvio è iniziata a montare settimane fa, una sorta di preparazione all’inevitabile: Gerusalemme est. Territorio occupato militarmente da Israele nel 1967, secondo gli accordi di Oslo firmati nel 1993 da Israele e Organizzazione per la liberazione della Palestina, Gerusalemme est vota alle elezioni dell’Anp. Negli anni non è mai accaduto, le autorità israeliane lo hanno costantemente impedito e stavolta – dopo arresti di personalità gerusalemite di spicco – la mancata risposta israeliana alla richiesta di aprire urne nella Città “santa” ha servito gli interessi di un governo, quello palestinese, che di votare non aveva alcuna voglia. «Abbiamo provato con la comunità internazionale a costringere lo Stato occupante a far svolgere le elezioni a Gerusalemme – ha detto il presidente Abu Mazen – ma i nostri sforzi sono stati finora rigettati. Abbiamo deciso di sospendere le legislative fin quando non potremo garantire la partecipazione della gente di Gerusalemme».

In teoria un principio comprensibile, di fatto una via d’uscita. Perché queste elezioni si stavano trasformando nell’ultimo chiodo nella bara dell’Anp come l’abbiamo conosciuta. Un’entità governativa senza sovranità, un’amministrazione con le mani legate dall’occupazione, per molti il migliore strumento che Israele abbia mai avuto per non doversi preoccupare di fornire a popolo occupato il minimo di servizi che il diritto internazionale gli impone di garantire. E, nel tempo, un’elefantiaca struttura capace solo di mantenersi in vita. Secondo fonti interne all’Anp, che ne hanno parlato con Middle East Eye, al presidente erano state date delle alternative: seggi dentro le strutture dell’Onu a Gerusalemme o nelle ambasciate europee (da cui, va detto, non sono giunte risposte), voto elettronico. L’anziano leader le ha rigettate tutte. Secondo la stessa fonte, il…


L’articolo prosegue su Left del 7-13 maggio 2021

Leggilo subito online o con la nostra App
SCARICA LA COPIA DIGITALE

SOMMARIO