Quello che accade a Gerusalemme, come al solito, sembra interessare poco qui da noi, perfino a quelli che non disdegnano ogni anno di pubblicare una foto di Vittorio Arrigoni tanto per mostrarsi aperti e attenti.
Accade che l’Onu, per bocca del suo segretario generale Antonio Guterres, esprima «la sua profonda preoccupazione per le continue violenze nella Gerusalemme est occupata, nonché per i possibili sgomberi di famiglie palestinesi dalle loro case nei quartieri di Sheikh Jarrah e Silwan». In una nota del portavoce ha «esortato Israele a cessare le demolizioni e gli sfratti, in linea con i suoi obblighi ai sensi del diritto internazionale umanitario. Le autorità israeliane devono esercitare la massima moderazione e rispettare il diritto alla libertà di riunione pacifica».
Cosa accade? Gli israeliani stanno confiscando alcune abitazioni a famiglie palestinesi nel quartiere Sheik Jarrah: la spoliazione per legge (con Israele che ripete «abbiamo un nostro sistema legale e la Corte internazionale di giustizia non deve intervenire») andrà avanti e altri palestinesi saranno da annoverarsi fra le vittime dirette dell’occupazione. La questione per ora riguarda solo una manciata di case ma rientra nel più ampio tema del cosiddetto “diritto al ritorno”: la legge israeliana impedisce che i profughi palestinesi possano tornare a vivere nei territori che oggi fanno parte dello Stato di Israele ma evidentemente per lo Stato di Israele quel diritto può essere concordato agli ebrei. sostanzialmente un diritto su base etnica. E non è una novità. Ancora una volta. Le famiglie palestinesi, ricche o povere, cominciano a perdere le case in cui hanno vissuto per decenni a Sheik Jarrah, Silwan e altri quartieri.
La protesta si è spostata sulla Spianata delle Moschee e i numeri parlano chiaro: dei 305 feriti, riferiscono i responsabili della Mezzaluna Rossa, 7 sono in condizioni gravi, mentre oltre 220 sono stati ricoverati in un ospedale di Gerusalemme Est o in un ospedale da campo allestito vicino al luogo delle proteste. Il governo israeliano da parte sua risponde parlando di agenti feriti. Il premier uscente, Benjamin Netanyahu, ha dichiarato che la battaglia in corso «per lo spirito di Gerusalemme» è «la lotta secolare tra tolleranza e intolleranza, fra violenza selvaggia e mantenimento di ordine e legge».
Certo fa un certo effetto sapere dall’Unicef che «negli ultimi due giorni, 29 bambini palestinesi sono stati feriti a Gerusalemme Est, anche nella Città vecchia e nel quartiere di Sheikh Jarrah. Otto minorenni palestinesi sono stati nel frattempo arrestati. Tra i feriti, anche un bambino di un anno. Alcuni bambini, che sono stati portati in ospedale per essere curati, avevano ferite alla testa e alla spina dorsale. L’Unicef ha ricevuto rapporti secondo cui alle ambulanze è stato impedito di arrivare sul posto per assistere ed evacuare i feriti e che una clinica in loco è stata colpita e perquisita».
Ieri mattina la polizia è entrata nella Spianata per disperdere i palestinesi facendo irruzione nella moschea di al Aqsa dove erano in corso le preghiere dei fedeli musulmani. I poliziotti hanno lanciato granate per disperdere i presenti che hanno risposto lanciando pietre e oggetti. Secondo diversi testimoni la polizia avrebbe sparato anche lacrimogeni e proiettili di gomma ma Netanyahu parla addirittura di “immagini contraffatte”. Dalla striscia di Gaza continua il lancio di razzi nel territorio israeliano.
L’ennesima puntata di una pulizia etnica e questo tragico, vigliacco silenzio tutto intorno. «Restiamo umani», scriveva Vik, perché che fossimo vigili lo dava per scontato, no?
Buon martedì.