A guidare la protesta palestinese per le strade gerusalemite e israeliane sono i giovani non legati a partiti o istituzioni. E giovani sono gli israeliani delle ronde anti-arabe e delle aggressioni. Generazioni nuove che hanno in comune un elemento: sono entrambe “generazioni post-Oslo”

Nuove generazioni a confronto: nella crisi della politica istituzionale potrebbe essere questo il punto di partenza per comprendere la natura dell’escalation israelo-palestinese che da Gerusalemme si è allargata alla Cisgiordania, a Gaza e nelle città israeliane.

Se l’operazione militare israeliana contro la Striscia appare il solito terribile sfogatoio della classe dirigente politica e militare di Tel Aviv, quello che accade per le strade gerusalemite e israeliane è la vera novità.

Le ronde anti-arabe, gli incendi appiccati dai palestinesi cittadini israeliani alle auto degli ebrei, le aggressioni alle case e ai residenti palestinesi da parte di gruppi dell’estrema destra israeliana e dei coloni giunti dalla Cisgiordania nelle città di Led, Tel Aviv, Haifa, Jaffa, raccontano un confronto che si sta spostando alla base.

I protagonisti sono i giovani, palestinesi e israeliani. Generazioni nuove che hanno in comune un elemento: sono entrambe “generazioni post-Oslo”. Termine usato in senso spregiativo ed erroneo per categorizzare i giovani palestinesi nati dopo il 1993 e gli accordi tra Israele e Olp, oggi è applicabile a entrambe le società.

La realtà demografica parla chiaro: gli adolescenti, i ventenni e i trentenni palestinesi e israeliani sono la maggioranza nel territorio che dal mar Mediterraneo corre fino al Giordano. Sono nati e cresciuti dopo la prima Intifada del 1987 e in moltissimi casi dopo la Seconda, del 2000.

Nel caso palestinese si tratta di persone che hanno conosciuto solo la divisione fisica del proprio popolo. Sono nati insieme al Muro e ai checkpoint che hanno separato i territori palestinesi e costretto a ricorrere a rari permessi per spostarsi da un’enclave all’altra. Una divisione che le autorità israeliane hanno saputo coltivare con maestria, separando i palestinesi in spazi geografici con diversi status legali: diverse forme di occupazione producono diverse priorità e dunque diverse resistenze.

Ma il trucco non è riuscito. A guidare le proteste a Gerusalemme, nel quartiere di Sheikh Jarrah e sulla Spianata delle Moschee, e poi dentro le città israeliane, sono i giovani senza partito. Un movimento popolare spontaneo:

«Di fronte abbiamo una generazione che ha vissuto gli ultimi 20-25 anni sotto un’occupazione israeliana soft – ci spiega Mahmoud Muna, scrittore e libraio alla American Colony, in riferimento alla mobilitazione a Gerusalemme e dentro Israele -. Soft perché non è fatta di violenza fisica ma di pratiche quotidiane di discriminazione e umiliazione. Nella Palestina ’48 (lo Stato di Israele, ndr) inoltre parliamo della terza generazione di palestinesi cittadini israeliani. La prima generazione era composta dai sopravvissuti alla Nakba, la catastrofe del 1948, erano felici di essere ancora lì e tanto bastava; la seconda era preoccupata dal costruirsi un futuro e non ha affrontato le politiche israeliane di discriminazione istituzionalizzata. Questa terza generazione è consapevole di vivere in un Stato che li discrimina e sta reagendo».

«Siamo rimasti sorpresi – continua Muna – perché a fronte di una divisione tra enclavi…»


L’articolo prosegue su Left del 21-27 maggio 2021

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