«La nostra operazione giusta e morale richiederà tempo e continuerà per tutto il tempo che sarà necessario. Dico ai leader del terrorismo: nessuno ne sarà immune». Nella conferenza stampa del 15 maggio, il premier israeliano Netanyahu non ha compiuto un passo indietro sugli attacchi indiscriminati alle infrastrutture civili nella Striscia di Gaza, né all’elevato numero di civili palestinesi (molti bambini) uccisi nei bombardamenti. Quando è sotto pressione per le critiche che gli piovono da più parti, “Bibi” è solito passare all’attacco. In gioco, certo, c’è il bene dei «cittadini d’Israele” per cui promette il pugno di ferro contro chi si macchierà di nuovi «pogrom» interetnici all’interno dei confini del suo Stato. Ma in ballo c’è soprattutto la sua sopravvivenza politica.
I tumulti di Gerusalemme dopo lo sfratto (annunciato, ma per ora sospeso) di 40 palestinesi dal quartiere di Sheikh Jarrah a favore di estremisti ebrei e i bombardamenti su Gaza sono stati ossigeno puro per il primo ministro più longevo nella storia d’Israele perché potrebbero fornirgli l’occasione per capovolgere una situazione politica che a breve lo potrebbe vedere fuori dalla futura guida da Israele e in balia dei processi di corruzione a cui è sottoposto. Incapace di costruire una maggioranza politica nelle scorse settimane, più che ai razzi da Gaza, il premier guarda con preoccupazione a una possibile intesa tra il capo centrista Yair Lapid (Yesh Atid) e il nazionalista religioso Naftali Bennet (Yamina).
Bibi alza la voce e si mostra duro anche perché nessuno in Occidente osa attaccare le politiche d’Israele.
I bombardamenti su Gaza hanno riproposto quello che va in scena ogni volta che…
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