Quanti pensano che il governo Draghi e le misure proposte non abbiano un’anima sbagliano fortemente: un’anima c’è, ed è nera. Un atteggiamento e misure a totale favore del decotto sistema delle imprese italiane, senza nessun vincolo rispetto alla quantità e qualità del lavoro creato. Lo stesso Recovery, per ammissione dello stesso governo, non produrrà alcun significativo aumento del Pil né tantomeno di occupazione, rimandata alle cosiddette riforme tutte tese a creare un ambiente favorevole all’impresa privata, liberandola dai lacci e laccioli dei controlli in materia di legalità, rispetto dell’ambiente, centralità dell’utilità sociale dell’impresa.
Siamo, nella migliore delle ipotesi, alla frustra riproposizione della teoria dello sgocciolamento, un cascame ideologico neoliberista. Sul piano sociale niente di diverso dalla paternalistica ed insultante riproposizione del capitalismo compassionevole di raeganiana memoria: che infatti se i poveri son poveri è colpa loro, se ti licenziano è perché non sai fare il tuo lavoro, se non trovi lavoro non hai fatto fruttare il tuo capitale sociale e non sei stato un buon imprenditore di te stesso.
Nessuna nuova politica industriale e ruolo dello Stato, nessun allargamento del perimetro pubblico a partire dall’assunzione di almeno un milione di addetti nei comparti pubblici. Nessuna misura contro il lavoro povero come introdurre una soglia minima oraria da recepire nei contratti nazionali, nessuna misura contro il part-time involontario e la giungla dei contratti precari.
Aumento della disoccupazione di massa con lo sblocco dei licenziamenti, sblocco degli sfratti senza nessuna politica di investimento sull’edilizia residenziale pubblica e nessuno strumento di sostegno al reddito universale, sia per i lavoratori e le lavoratrici in cassa integrazione né tantomeno per chi non è mai entrato regolarmente nel mondo del lavoro rompendosi la schiena negli abissi del lavoro nero, grigio, informale, gravemente sfruttato ai limite della riduzione in schiavitù.
Politiche di decontribuzione tese non a creare nuova occupazione ma a sostituire quella esistente, con il segretario Letta del PD a rilanciare la cosa. Risorse pubbliche utilizzate per sostituire lavoratori con qualche diritto residuo e un costo del lavoro maggiore con giovani e donne senza diritti e con costi minori, per i primi anni quasi zero per le imprese, senza curarsi dei destini di cinquantenni e sessantenni ad ingrossare assieme alla maggioranza delle giovani generazioni un immane esercito industriale di riserva. Politiche di sostituzione, non di creazione di nuova occupazione.
Nessuna politica industriale, nessun investimento in ricerca e sviluppo di base, nessuna idea di paese che non sia curare il blocco sociale e gli interessi delle forze politiche di destra e proseguire nella terziarizzazione debole, cercando di accaparrarsi quante più provvidenze possibili grazie alle risorse europee. Facendo pagare il tutto a chi sta in basso.
Coerente con questo orientamento le criminogene norme che il Governo vorrebbe introdurre in tema di appalto di opere, beni, servizi. Il governo pensa infatti, gabellandole come semplificazioni, di ridurre le tutele e i diritti conquistati dai lavoratori a colpi di decreto, generalizzando il massimo ribasso come criterio di assegnazione invece che l’offerta economicamente vantaggiosa e liberalizzando totalmente il subappalto.
Ditte senza neppure addetti diretti che si aggiudicano le gare e che poi spezzettano all’infinito la commessa in una serie di scatole cinesi dove si perdono diritti, salario, qualità del lavoro e dell’opera. Così si torna alla giungla dei cantieri, alle interferenze in cantiere, al pagamento a cottimo. Insomma, agli anni 50, quando la vita dei lavoratori non contava nulla.
La Fillea Cgil a questo proposito ha già meritoriamente stroncato la norma per bocca del suo segretario generale dichiarando preventivamente lo sciopero a fronte del mantenimento di questo scempio. Con la liberalizzazione del subappalto e la reintroduzione del massimo ribasso il Governo si accinge a dare un duro colpo alle tutele di lavoratrici e lavoratori dei servizi in appalto, ed anche su questo fronte le categorie dei servizi sono sul piede di guerra.
La semplificazione non può tradursi in deregolamentazione, soprattutto quando va a colpire i diritti, le tutele e la qualità del lavoro che è data da certezza salariale, sicurezza, prevenzione, legalità. Sono misure che, se approvate, renderebbero i lavoratori e le lavoratrici ancora più poveri, sottoposti a continui ricatti ed esposti a rischi gravissimi per la stessa incolumità personale.
Chi approverà tali norme (e vale per tutte le forze politiche che voteranno i provvedimenti) ci risparmi lacrime di coccodrillo a fronte delle morti sul lavori, così come le giaculatorie sulle infiltrazioni della criminalità organizzata, che amplieranno ulteriormente la loro penetrazione sociale, affaristica, istituzionale.
Se sommiamo a tutto questo l’indebolimento e la sospensione di gran parte della procedure e norme che tutelano l’ambiente, il paesaggio e lo stesso territorio possiamo ben dire che ci apprestiamo ad uscire dalla pandemia ben peggio di come siamo entrati.
Il segretario generale della Cgil Maurizio Landini ha espresso un duro giudizio sul metodo e sul merito dei provvedimenti del governo, dichiarando che le norme sopra richiamate meritano uno sciopero generale.
Lo condividiamo: svegliamo le coscienze, facciamo conoscere le gravi misure che ci vengono incensate da un imbarazzante bombardamento mediatico, ricreiamo le condizioni della solidarietà della e nella classe che vive di lavoro, battiamoci per una società ed una vita degna di essere vissuta. Senza lotte e mobilitazioni, senza passione sociale e civile nessun cambiamento in meglio sarà possibile.
*L’autore: Maurizio Brotini è segretario Cgil Toscana