Se i Paesi europei che si affacciano sul Mediterraneo tentano di raggiungere rapidamente un accordo Ue per la ripartizione dei profughi, il silenzio dei Paesi del Nord, la contrarietà di quelli orientali e la freddezza tedesca, non fanno ben sperare

Molti sono oggi gli elementi da districare per superare lo stato di crisi che parte dal Mediterraneo e arriva ai palazzi di Bruxelles. Il punto di partenza è rappresentato da un aumento delle partenze di richiedenti asilo e migranti dalle coste libiche, dalle enclave di Ceuta e Melilla, dalla Tunisia. Vicende diverse, amplificate a fini elettorali: il numero di persone che tentano di entrare in Europa non indica un’invasione, né le previsioni per l’estate giustificano i toni allarmistici. Ciò nonostante il tema era all’ordine del giorno di un Consiglio europeo straordinario. In cui nulla, alla fine, è stato deciso. Tutto è rinviato all’incontro, l’ultimo previsto prima dell’estate, che si terrà il 24 e il 25 giugno. Nei giorni precedenti il vertice c’erano state dichiarazioni impegnative. Spagna, Italia e Grecia, hanno esercitato pressioni in quanto sono i Paesi che affrontano – male – gli arrivi, ma utilizzano il valido alibi dell’assenza di un reale vincolo di solidarietà europea per giustificare errori e responsabilità.

Era intervenuta la commissaria agli Affari interni, Ylva Johansson (socialdemocratica), che si è recata in Tunisia con la ministra dell’Interno italiana, Luciana Lamorgese, per rendere più efficaci i rimpatri nel Paese nordafricano e delineare azioni politiche atte a scoraggiare le partenze insistendo sul potenziamento degli strumenti per fermare i fuggitivi anche in Libia e promettendo investimenti nei Paesi di partenza per fermare le migrazioni. In ballo anche un nuovo accordo sulle ripartizioni dei migranti sbarcati (una sorta di “Accordo di Malta 2” dopo il fallimento di quello del settembre 2019) che vincoli maggiormente i 27 Stati membri.

L’incontro in Tunisia con il presidente della Repubblica Kais Saied e il capo del governo tunisino Hichem Mechichi (che mantiene anche l’interim dell’Interno) avvenuto il 20 maggio, è stato un primo segnale per trasformare gli accordi “informali” bilaterali con l’Italia in patti con l’intera Ue. Da Tunisi hanno dichiarato di impegnarsi per segnalare le partenze delle cosiddette “navi fantasma” non intercettate, l’Italia e poi l’Unione dovrebbero garantire migliore assistenza nella manutenzione delle motovedette impiegate per fermare le partenze e piani di investimento per offrire opportunità occupazionali in Tunisia. Obiettivi che non si raggiungono con un incontro e che secondo la stessa Johansson potrebbero dare i primi frutti a fine anno.
Nel 2020 sono stati oltre 13mila i tunisini che hanno raggiunto l’Italia, altri 1.500 nei primi cinque mesi del 2021. Persone che secondo i due governi possono essere rimandate in Tunisia. Un simile intervento si intende implementare in Libia, malgrado il governo sia ad interim in attesa delle elezioni del 24 dicembre. La commissaria intende garantire interventi già da ora ma le…


L’articolo prosegue su Left del 28 maggio – 3 giugno 2021

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