La storia di Homo Sapiens è una storia di emancipazione dai vincoli imposti dalla natura, emancipazione dalla volontà degli dei. È in questo percorso che l’essere umano si scopre libero, e dunque responsabile». Di questo percorso si trovano tracce anche nei poemi omerici. E in questo viaggio, letterario e poetico, dell’umanità verso la propria auto determinazione ci guida Eva Cantarella (che il 12 giugno scorso sul tema ha tenuto una lectio a Reggio Emilia in collaborazione con left per Le giornate della laicità ). «È un tema affascinante e vastissimo. Io lo affronto dal mio punto di vista, quello storico», racconta la grande studiosa del mondo greco e latino, autrice di importanti libri come L’ambiguo malanno e Secondo natura, (editi da Feltrinelli) che hanno svelato la misoginia dei filosofi antichi, e hanno permesso di conoscere più approfonditamente la condizione della donna nel mondo antico, così come quella dei fanciulli nella paideia fondata sulla pederastia. «Per preparare quest’incontro alle Giornate della laicità ho pensato che potesse essere interessante andare a cercare le radici, il momento in cui l’essere umano si rende conto di poter essere libero dal fato, quando scopre che la propria esistenza può essere svincolata dal volere degli dei. La crescente consapevolezza della propria autonomia morale è chiarissima nei poemi omerici ma è anche interessante vedere come avviene questo processo».
La storia del diritto all’epoca degli eroi omerici non si profilava ancora…
Gli eroi omerici sono dei personaggi che tutto sommato appartengono alla cultura della vendetta. No, non c’è ancora il mondo del diritto, si stava per profilare all’orizzonte, ma non c’era ancora. Insomma, per dirla con una battuta, il loro comportamento non è esattamente quello del “gentleman” europeo. Nell’Iliade l’ideale è primeggiare, vincere su tutti. L’eroe è quello che sopraffà, che sbaraglia in ogni modo; è colui che riesce sempre a imporre una propria volontà (per dirla in maniera gentile) perché questo significa vincere i nemici. Nei poemi omerici c’è chi ritiene lecito uccidere qualcun altro e addirittura uccidere qualcuno per una presunta offesa. Non ci sono ancora regole precise valide per tutti. Achille si sente offeso anche per uno sguardo. Il personaggio che ci racconta meglio questo aspetto è quello di Ulisse. Lo seguiamo in un percorso in cui cerca di capire quali sono gli atti che vengono considerati involontari, cosa è stato fatto con la violenza fisica e anche psichica, o per obbedire a un ordine superiore. È un processo che via via appare sempre più chiaro nell’evoluzione delle parole. Faccio solo un esempio: eikos originariamente indica “causa ed effetto”, poi diventa “colpevole”, quindi “responsabile” se lo hai fatto volontariamente. Assistiamo così alla nascita dell’etica della responsabilità.
Nell’antichità la peste e in generale le pandemie erano considerate un castigo mandato dagli dei. Ma con Tucidide avviene una svolta, nasce una nuova consapevolezza?
Dal modo con cui descrive la peste di Atene emerge con chiarezza che la pandemia non dipende dagli dei. Tucidide la osserva da storico. Dice: io non sono un medico, ma posso descrivere i sintomi della malattia. Ci dice che non sapevano come seppellire i cadaveri. Scrive che restavano lì e tutto questo naturalmente peggiorava la situazione. Notava anche che la popolazione era concentrata in città e che c’erano problemi di igiene. Leggerlo è impressionante…
In qualche modo si rendeva conto che il problema erano anche gli assembramenti?
Esatto, i ben noti assembramenti erano visti come un pericolo. A un certo punto nacque il sospetto che la peste fosse stata portata dagli spartani, additati come nemici. Tucidide lo riporta come informazione, ma poi come causa individua l’ambiente insalubre, l’eccessiva concentrazione di popolazione e tutto quello che ne deriva. La cosa interessante è anche che lui dice espressamente: io questa cosa ve la racconto perché potrebbe servire in futuro, non si sa mai.
La consapevolezza della responsabilità soggettiva compare nettamente ne L’Edipo a Colono?
Avviene un passaggio dall’Edipo re all’Edipo a Colono. Nell’Edipo re lei si uccide e lui si acceca e se ne va in esilio. Eppure Edipo poveretto non sapeva di aver ucciso il padre e di essersi unito con la madre. Né lui né lei ne avevano contezza. Non possono dire di aver agito volontariamente, di aver provocato volontariamente e aver commesso incesto volontariamente. Solo nell’Edipo a Colono lui afferma: non posso essere considerato colpevole, perché io non lo sapevo, come potevo volere io una cosa che era stata decisa molti anni prima che nascessi. Questo è un accenno interessante. Ci sono solo 30 anni di distanza fra i due testi ma evidentemente le cose stavano evolvendo.
La parola laicità aveva un senso nella Grecia antica, oppure è un concetto del tutto moderno?
Non mi pare ci fosse un equivalente. Ma quanto meno possiamo dire che il politeismo teneva una porta aperta rispetto agli altri dei. Io ho sempre ritenuto che il politeismo fosse superiore rispetto al monoteismo, proprio perché lasciava quanto meno una possibilità di scelta fra tanti dei così diversi l’uno dall’altro. La laicità, nel senso che noi diamo a questa parola oggi, però non trova un corrispettivo di senso. Non c’era il concetto, non c’era l’idea.
Però nella romanità si dava cittadinanza agli dei degli altri, seppur per un fine imperiale.
Questa è tutta un’altra cosa: dare cittadinanza ai popoli che hai conquistato e sottomesso. I Greci si guardavano bene dal farlo. Atene non dava la cittadinanza a nessuno. Ciò a cui non si pensa – e che per certi versi potrebbe apparire paradossale – è che per noi la democrazia coincide con il massimo della democrazia raggiunta allora! E in effetti lo era per quei tempi. Ma, ripeto, non concedeva la cittadinanza a nessuno. Pericle stesso nel 451 a.C. emise un decreto. Prima la cittadinanza spettava a chi nasceva da padre ateniese. Da quel momento in poi per essere cittadini divenne necessario essere nati anche da madre ateniese, un fatto che è stato spesso interpretato come una concessione alle donne, ma in realtà fu una limitazione della cittadinanza. Ci si è chiesti perché lo avesse fatto. C’era la guerra del Peloponneso, mancavano gli uomini, mancavano le donne e Pericle voleva evitare che gli ateniesi sposassero donne straniere. Non fu per un interesse verso il sesso femminile. Semmai quel decreto dimostra come la democrazia ateniese fosse stitica nel concedere la cittadinanza. Erano imperialisti come i romani, secondo me. Anche se su questo si discute a lungo. Ma l’imperialismo ateniese durò pochissimo. Invece Roma riuscì a governare un impero che loro neanche si sarebbero sognati. In che modo lo fece? Anche concedendo la cittadinanza.
Se guardiamo all’emancipazione e all’auto determinazione Atene e Sparta rappresentano due mondi così diversi? Dal suo nuovo libro, Sparta e Atene. Autoritarismo e democrazia (Einaudi), emerge un quadro più sfaccettato e complesso di quanto si pensi.
Riguardo ad Atene abbiamo molte fonti storiche e filosofiche. Di Sparta sappiamo pochissimo. Sul piano della religione erano considerati così superstiziosi da essere presi in giro. Di più è difficile dire…
Quanto alle spartane, che facevano sport all’aperto e non dovevano starsene chiuse nel gineceo, erano davvero più libere delle ateniesi?
Se la domanda è avrei preferito essere nata a Atene o a Sparta, sarei in difficoltà a rispondere. Perché le donne spartane erano infinitamente più libere nei movimenti, però se dovessi sintetizzare in poche parole, direi che erano libere ma non erano affatto liberate. Formalmente, esternamente, non erano vincolate al ruolo di madri. Ma poi vedi che le donne spartane venivano celebrate in quanto madri di uno spartano, possibilmente morto in guerra. La maternità veniva celebrata a parole e solo in quei casi lì. Ma il rapporto fra madre e figlio praticamente non esisteva. Perché a sei/sette anni i bimbi dovevano lasciare la casa e andare in comunità, praticamente non li vedevano più. Questo vuol dire che le madri erano libere da quella che noi chiamiamo attività di cura. Per i servigi domestici avevano gli schiavi. Con ciò è vero che erano libere negli spostamenti, uscivano per strada, facevano sport, si vestivano come volevano rispetto alle ateniesi. Tanto che il buon Aristotele che odiava Sparta le giudicava scostumate. Però la loro era una libertà limitata. Tutti i raccontini delle madri per i figli dicono: meglio che tu muoia guerra. La loro maternità implicava poca frequentazione con i figli, ma anche con gli uomini che, perlopiù erano in guerra o la preparavano. Mi colpisce è che le uniche donne che avevano diritto ad avere il proprio nome iscritto sulla tomba erano quelle che avevano perso un figlio in guerra. Gli ateniesi tenevano molto alla sepoltura. A Sparta no, non c’era il culto del cimitero e non si scriveva il nome sulla tomba tranne nel caso che dicevamo. A me fa impressione. Erano donne libere queste? Fino a che punto queste donne erano condizionate?
Erano condizionate al punto che quando si sposavano nella prima notte si facevano trovare rasate e vestite da uomo per farsi accettare?
Noi la vediamo dal nostro punto di vista femminile, ma lì non c’era. Il problema era far accettare al maschio un rapporto con una donna invece che con un uomo. Uno spartano lasciava precocemente la casa e andava nella agoghé, il corrispettivo della paideia ateniese. Quando aveva 12 o 13 anni poteva avere un amante: era la famosa pederastia dei greci, di cui non si parlava fino al secolo scorso. Quando andavo a scuola io nessuno mi ha mai detto queste cose. La pederastia come modo di formazione del cittadino non era solo una cosa ateniese. C’era anche a Sparta tale e quale. Il punto è che fino al momento del matrimonio lui aveva avuto rapporti solo con un altro uomo, lo dovevano abituare a una sessualità procreativa, perché da quel momento doveva dare figli a Sparta. Non lo dico solo io. Lo dice il massimo studioso di Sparta che è Paul Cartledge. A Sparta era addirittura obbligatorio il rapporto pederastico perché faceva parte della agoghé. A venti anni poteva sposare una donna, poteva avere rapporti con la moglie ma poi doveva tornare a dormire con i compagni fino a 30 anni. Tutte queste erano tappe obbligatorie. La pederastia era obbligatoria.
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