Era «solo e isolato», «non aveva amici e non si curava»: sono le prime parole pronunciate ieri dalla madre di Andrea Pignani, il 35enne ingegnere informatico che pochi chilometri fuori Ardea ha ucciso l’84enne Salvatore Ranieri e i fratelli David e Daniel Fusinato prima di suicidarsi. Perché quel “pazzo” avesse a disposizione un’arma è una domanda che si pongono quasi tutti, soprattutto alla luce del fatto che Pignani fosse già stato segnalato come «persona instabile». Ecco, appunto, com’è che ci fosse quell’arma?
Conviene fare un passo indietro: lo scorso 10 aprile a Rivarolo Canavese, siamo in provincia di Torino, Renzo Tarabella, pensionato di 83 anni, ha ucciso la moglie Maria Grazia Valovatto di 70 anni e il figlio disabile Wilson di 51 anni, ha ucciso i due proprietari della casa in cui viveva e poi ha tentato di suicidarsi. Anche in quel caso la pistola era regolarmente detenuta, per uso sportivo e nonostante la presenza di un figlio con problemi psichici la figlia ha raccontato che l’uomo tenesse l’arma sempre sul comò ben in vista.
L’Italia è uno dei Paesi con il più basso numero di omicidi in Europa. Nonostante una certa retorica i numeri di omicidi collegati alla criminalità organizzata e per furti e per rapine sono in netto calo. Gli unici omicidi che rimangono stabili sono quelli in ambito famigliare e relazionale: sono stati più 150 nel 2019, poco meno della metà di tutti gli omicidi (315 casi). In sostanza nel biennio 2017/2019 abbiamo avuto 131 omicidi perpetrati con armi regolarmente detenute a fronte di 91 omicidi di tipo mafioso e di 37 omicidi per furto o rapina. In sostanza, lo dicono i numeri, in Italia è più facile essere ucciso da un legale detentore di armi rispetto a un mafioso o un rapinatore.
«Avere un’arma in casa – riporta un’ampia ricerca del Censis – rappresenta una formidabile tentazione di usarla e molti assassini sono in possesso di regolare licenza». E come si ottiene un’arma? Un cittadino esente da malattie nervose e psichiche, non alcolista o tossicodipendente, sostiene un un breve esame dopo che la Questura ha verificato che non abbia precedenti penali. E l’esame medico? Niente di che: c’è un certificato del medico curante e una visita presso l’Asl come avviene per l’esame di guida. Nessun controllo tossicologico, nessuna valutazione psichiatrica. Anzi, a differenza della patente di guida, il rinnovo anche per persone di una certa età avviene comunque ogni 5 anni, sempre con il certificato del proprio medico.
Sulle armi poi c’è la legge voluta dalla Lega (che governava con il M5S) nel 2018 per cui chi è in possesso di licenza (anche se non pratica alcuna disciplina sportiva o la caccia) può detenere tre pistole o revolver con caricatori fino a 20 colpi, 12 fucili semiautomatici con un numero illimitato, e senza obbligo di denuncia, di caricatori fino a 10 colpi e numero illimitato di fucili da caccia. Un gran bel regalo ai produttori di armi.
Non solo: da otto anni l’associazione “Ognivolta onlus – familiari e amici di Luca e Jan” (fondata in memoria di Luca Ceragioli e Jan Frederik Hilmer uccisi da un collega che regolarmente deteneva un’arma con regolare licenza nonostante 3 tentativi di suicidio e nonostante fosse in cura in un centro di salute mentale) chiede l’istituzione di un’anagrafe informatizzata per il collegamento fra le strutture sanitarie e le autorità preposte al rilascio e al rinnovo del porto d’armi, affinché si possa tempestivamente rifiutare o revocare il medesimo a soggetti psichicamente non idonei.
Insomma, siamo sicuri di essere di fronte a un caso isolato? O siamo di fronte a una legittima offesa, legittimata dalle leggi che mungono i produttori d’armi e una certa parte politica?
Buon lunedì.