La Fondazione era nata per rendere Riace il paese dell’accoglienza. Ora «ci hanno persino tolto la luce» dice l'ex sindaco calabrese, replicando a chi in passato lo aveva accusato di lucrare sull'immigrazione. «Il nostro messaggio umano e politico - aggiunge - viene ancora ostacolato dalla politica»

Avremmo dovuto partecipare con Domenico Lucano ad un incontro per parlare di vaccini e diritti di migranti, rom, sinti, camminanti, senza tetto e di altri soggetti invisibili per le amministrazioni. Quando abbiamo telefonato a Lucano per ricordargli l’appuntamento era piuttosto scosso e ci ha detto: «Non posso, hanno staccato la corrente alla Fondazione». La nostra domanda un po’ incredula è stata: «Ma cos’è successo?». «Non abbiamo i soldi per pagare e ci hanno tolto la luce». È stato un momento difficile, non tanto per l’episodio in sé, ma per la sensazione di solitudine, di sconforto che abbiamo percepito nel suo pronunciare le poche frasi che ci siamo scambiati.

La Fondazione Città futura è nata nel 1999 per realizzare il sogno di rendere Riace il paese dell’accoglienza. Nei suoi 22 anni di attività ha dato ospitalità, lavoro e una nuova prospettiva a migliaia di individui con i suoi laboratori e ha ridato vita ad un borgo che stava morendo per lo spopolamento e le difficoltà economiche. La Riace di Città futura è stata per molti un esempio, una fonte di ispirazione.

Ad un certo punto, però, nel 2018 il sindaco conosciuto in tutto il mondo per avere creato un modello di accoglienza, convivenza civile e che si opposto con tenacia ai decreti Sicurezza di Salvini viene arrestato e successivamente gli viene imposto il divieto di dimora a Riace. Le accuse che gli vengono rivolte sono associazione a delinquere, abuso d’ufficio, truffa, concussione, peculato, turbativa d’asta, falsità ideologica e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per presunti illeciti nella gestione del sistema di accoglienza.

Lucano ammette di avere firmato dei documenti che non avrebbe dovuto firmare, come quando ha rilasciato la carta d’identità ad un bambino di quattro mesi per consentirgli di fare una visita dal pediatra. È un reato questo? Sì, non avrebbe potuto farlo se avesse seguito le regole amministrative. Per questo da molti viene indicato come un disobbediente civile. Il progetto Riace, la storia di Città futura non sarebbero state possibili se lui non fosse stato un anarchico. Già quando creò le prime comunità di accoglienza per i curdi sbarcati sulle spiagge calabresi nel 1998 era andato oltre le regole, ma all’epoca il clima politico era differente e Riace non la conosceva nessuno, era un anonimo paesino della Locride.

C’è anche chi ha provato ad accusare Lucano di aver favorito l’immigrazione clandestina per interessi personali: nelle prime indagine l’ipotesi era che avesse dirottato milioni di euro su conti personali. «Non abbiamo i soldi per pagare le bollette della Fondazione», ci dice Lucano al telefono.

Le inchieste che hanno colpito Lucano e Riace hanno travolto anche Città futura: i finanziamenti dei progetti di accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo Sprar attivi nel paese calabrese sono venuti meno e si sta distruggendo lentamente quell’utopica città realizzata sui principi di uguaglianza e rispetto reciproco.

Oggi entrando nel Paese non si incontra più il cartello «Riace, il paese dell’accoglienza»: è stato sostituito dall’insegna «Riace, il paese di Santi Cosma e Damiano». I laboratori che avevamo visitato sono chiusi e dei migranti che avevano ripopolato il borgo non ne restano molti. Abbiamo rivolto a Lucano alcune domande.

Mimmo, ma cos’è stato e cos’è veramente Riace?
È come se avessimo scritto una fiaba, la gente era stupita e stentava a credere che la comunità, il Paese dell’accoglienza, fosse reale. C’è chi ci ha creduto, chi è rimasto deluso e chi grazie a Riace ha cambiato la sua vita. Abbiamo fatto capire alle persone che era importante impegnarsi per gli altri, che si poteva restare nel proprio paese e costruire. Riace è diventata conosciuta in tutto il mondo.

E poi…
Dal 2016 è cambiata l’Italia ed il mondo, Riace è divenuto una delle realtà da contrastare e limitare. Un piccolo comune che aveva mandato un messaggio forte ai grandi del mondo con la sua rivoluzione della normalità. Anziché divisioni, muri ed egoismi in questo luogo si faceva prevalere il senso dell’accoglienza. Nei vicoli si incrociavano persone con il burqa, persone provenienti da diversi Paesi del mondo. Anche il cimitero a Riace è parte di un racconto di integrazione con migranti e riacesi, gli uni accanto agli altri. Siamo stati l’utopia della Calabria. Un’utopia che nasce dalle nostre caratteristiche più pure. Siamo una terra d’amore e d’orgoglio. Tu mi hai chiesto cos’è stato Riace e io mi domando: Cos’è stato il mondo rispetto a Riace? Cosa sono i porti chiusi? I lager in Libia? Le barriere che sono state alzate? E lo scaricabarile dei Paesi europei di fronte alle responsabilità sull’immigrazione?

Quindi sostieni che Riace abbia fatto paura?
È evidente che dal 2016 è iniziata una scientifica strategia per tentare di depotenziare il messaggio umano e politico di Città Futura, il suo mostrare come il Sud fosse capace di fratellanza e di sviluppo, di una crescita positiva. La politica non voleva questo, erano gli anni della paura dell’invasione dei migranti e poi è arrivato Salvini. Forse arriverà un momento in cui il messaggio di un mondo diverso non sarà più ostacolato, ma quel giorno non è oggi. Adesso si vuole ancora far credere alle persone che non si può cambiare. E il fallimento del progetto di Riace serve a questo.

Dal 2016, quando sei stato trascinato in tribunale, la tua non è stata più solo una lotta mediatica con i ministri dell’Interno (Minniti prima, Salvini poi). Cosa significherebbe la tua condanna per Riace?
Rispetto al processo voglio dire che sono combattuto. In caso di condanna il mio primo pensiero sarebbe si tratta di un ingiustizia, credo che abbiano già deciso la mia storia intorno ad un tavolo. Dall’altra parte sarei disposto a fare il carcere, ma con me dovrebbero farlo anche i poteri grigi nascosti di queste vicende. Non si può usare la vita delle persone. E comunque i miei ideali di una società giusta ed egualitaria me li porterei anche dietro le sbarre.

Nonostante tutto quello che è successo sei sceso di nuovo in politica, scegliendo di sostenere De Magistris e il suo movimento politico alle prossime regionali in Calabria. Non sei stanco?
Sono amareggiato. Ho preso l’impegno per queste elezioni sotto un impulso emozionale, anche perché De Magistris mi è stato molto vicino in questi anni. Quando sono stato raggiunto dall’ordinanza di divieto di dimora mi ha offerto ospitalità a Napoli. Anche se non ho accettato non dimentico il suo appoggio. Il fronte progressista è più sconvolto e diviso di quanto immaginassi, e purtroppo questo stato di cose lascia spazio alle politiche della destra reazionaria che hanno avuto un ruolo importante nella storia di Riace. Dal 2016 in poi credo che il cosiddetto fronte progressista, con Minniti come braccio militare, abbia cercato di fare la destra sul tema immigrazione convinto di poterne trarre un beneficio elettorale. In questo contesto Riace non portava bene, come dissero all’ex presidente della Calabria Oliverio in una telefonata. Riace era l’opposto della società disumana, senza pari dignità, senza pari diritti e pari doveri che ha tentato di costruire il “sistema Salvini”. Ma ridurre questa lotta alla sola Riace non è corretto. Il sistema politico tra il 2016 ed oggi ha criminalizzato i valori umani e chi li ha difesi, è successo anche alle Ong impegnate a salvare i migranti nel Mediterraneo.

Tu sei andato oltre le regole di un sistema ingiusto, hai varcato un confine per rispondere ai tuoi ideali. Qual è il limite da non superare?
Io ho difeso le persone e l’uguaglianza tra individui. Ho conosciuto queste persone e le umiliazioni che subivano, non potevo guardare da un’altra parte. Quando sono diventato sindaco ho giurato sulla Costituzione di difendere l’uguaglianza tra persone. Se c’è un’incompatibilità evidente tra rispetto dei diritti umani e legalità allora ritengo di dover seguire altre strade. E non dimentichiamoci che la legalità dipende anche dal periodo politico. I decreti sicurezza erano legge adesso non lo sono più. Mi domando: la legalità va bene, ma che fine fanno il diritto alla vita e alla tutela della salute? A volte le norme della politica vanno in un’altra direzione rispetto alla giustizia. Ed è giusto lottare per cambiare delle leggi ingiuste.