Le giusta misura della democrazia di un partito si rivela principalmente da quanto sia effettivamente scalabile. Non è una questione di lana caprina da politologi ma è il termometro per misurare lo stato di salute di un partito, di qualsiasi partito.
Il berlusconismo ad esempio tra le altre cose ha proposto un modello di partito-azienda che per anni in molti da queste parti abbiamo criticato, ci siamo spesi per contestare la radice stessa di un partito che possa avere un “proprietario” che, alla stregua di un presidente di calcio, si compra la sua squadra (di cui non può fare a meno per potersi iscrivere al campionato) mica per giocare ma per “oliare” rapporti altri e portarla come lustrino.
Ciò che sta accadendo in queste ore nel Movimento 5 stelle è la solita vecchia storia del fondatore che diventa anche l’affondatore, di un movimento che era nato per rinnovare la politica (anzi, peggio, “distruggere i partiti” dicevano con un’arrogante violenza che alla fine gli si è ritorta contro) e invece della politica ha preso molti dei lati peggiori.
Pensate solo a un aspetto: la trattativa tra Conte e Grillo si è consumata come nella Prima Repubblica uscendo di sguincio solo sotto forma di indiscrezioni e smentite con un processo che non ha avuto nulla di trasparente e solo oggi forse sarà possibile averne contezza attraverso le rivendicazioni di una e dell’altra parte, con la stessa opacità dei più oscuri caminetti dei nebulosi partiti.
Perfino la Lega, che da queste parti non abbiamo mai amato per le sue derive destrorse e inumane, è risultata scalabile sostituendo Bossi con Maroni e poi Maroni con Salvini e poi il prossimo che sostituirà Salvini. Forza Italia e il Movimento di Grillo sono gli unici due partiti con rilevanti risultati elettorali e ruoli di governo che rimangono inchiodati all’immobilismo dei vertici.
Che Grillo abbia avuto la stupidità di bollare come incapace l’uomo che per due volte ha messo a capo del governo dimostra tutta la sua pericolosa arroganza: ieri ci ha fatto sapere che l’uomo che lui ha ritenuto in grado di governare l’Italia non sarebbe in grado di guidare un partito, buttando letteralmente nel cesso tutti questi ultimi anni. Tant’è che viene naturale dirsi “povera Italia” ben più di “poveri Cinque stelle”. Si tratta di un’autocritica distruttiva (perché la pars destruens è l’unica che Grillo riesce ad adottare) involontaria che devasta il suo stesso progetto politico. E anche questo è un film già visto: ora ci sarà la scissione, poi la parcellizzazione e poi tutto il resto.
Intanto partitini padronali di presunto centrosinistra stanno esultando felici per un sassolino che possono togliersi dalle scarpe senza rendersi conto che in tutto questo il duo Salvini e Meloni viaggia a gonfie vele, il signor Draghi sblocca i licenziamenti e quatto quatto governa in continua virata verso destra con l’accondiscendenza di quasi tutto l’arco parlamentare e non si vede ancora nemmeno un minimo di strategia per la costruzione di un serio campo democratico. Esultano per la crisi del M5s senza rendersi conto che rischia di spianare la strada ad una destra ancora più destra di quello che c’è.
Per questo Grillo ha responsabilità ancora più gravi della semplice gestione del suo Movimento: lo sconquasso politico avrà effetti anche su quelli che stanno festeggiando. E chissà che una volta per tutte non si smetta di credere alla favola dell’uno vale uno nel partito in cui uno vale Grillo da sempre.
Buon mercoledì.