Con lo sblocco dei licenziamenti il bluff di governo e Confindustria è definitivamente scoperto. Ed è a favore degli imprenditori che non vedono l’ora di avere le mani libere per assumere nuovi lavoratori con contratti precari e a basso costo

Alvaro García Linera, ex vicepresidente della Bolivia di Morales, definisce la nostra epoca come quella del «tempo sospeso», in cui gli avvenimenti si succedono non come somma accumulativa che conduce verso qualche meta, bensì come eventi caotici, senza senso. Il futuro diviene del tutto aleatorio, dimensione temporale che suscita ansia e paura, non a caso cifre psichiche di quest’epoca pandemica.

In una fase di incertezza strategica che accomuna classi dominanti e classi subalterne, incapaci di intravedere un orizzonte che restituisca senso e permetta di immaginare ciò che attende le nostre società nel medio e lungo termine (si sono un po’ perse le tracce dello Zeitgeist), il primo luglio arriva in Italia un parziale ma significativo elemento di certezza: lo sblocco dei licenziamenti nell’industria e nelle grandi aziende (per servizi e piccole imprese è invece fissato al 31 ottobre). Peccato si tratti di una certezza che non lenisca in alcun modo ansia e preoccupazione e sia anzi destinata ad approfondire le difficoltà vissute da milioni di uomini e donne. Certo, le interlocuzioni febbrili degli ultimi giorni hanno prodotto alcune deroghe: per i settori più sofferenti, in primis tessile e calzaturiero, nonché per le realtà coinvolte dagli 85 tavoli di crisi aperti presso il ministero dello Sviluppo economico (Mise), oggi diretto dal leghista Giancarlo Giorgetti, la data dello sblocco si sposta in avanti.

Tira un sospiro di sollievo Luana, operaia della Whirlpool: «Abbiamo guadagnato ossigeno. Perché per noi ogni giorno è una boccata di ossigeno che ci permette di continuare a dare battaglia per la vita». Luana è parte dei 328 dipendenti del sito di Napoli che la multinazionale statunitense ha deciso di chiudere. Per lei, così come per i suoi colleghi, lo spostamento dei termini per le realtà in crisi significa poter continuare a lottare per mantenere la fabbrica aperta.

Per milioni di lavoratrici e lavoratori, però, dal primo luglio rischia di aprirsi un baratro. Quanti sono quelli che rischiano il licenziamento? Le stime variano, e anche di molto: si va dai 150mila (Ufficio parlamentare di bilancio) ai 577mila (Luigi Sbarra, segretario della Cisl che riporta fonti del governo e Bankitalia), fino ad arrivare addirittura a previsioni di 2 milioni di posti di lavoro (Pierpaolo Bombardieri, segretario Uil) che potrebbero saltare.

Una «bomba sociale» l’ha definita il…


L’articolo prosegue su Left del 2-8 luglio 2021

Leggilo subito online o con la nostra App
SCARICA LA COPIA DIGITALE

SOMMARIO