Reportage da un Paese che ormai è diventato un carcere a cielo aperto. Qui solo nel 2020 sono stati arrestati oltre 450 giornalisti. Ma, tra spie del Kgb e dure repressioni sfociate nel sangue, c’è chi ancora riesce a opporsi al regime di Lukashenko

L’aeroporto di Minsk è silenzioso, moderno. Il personale è cordiale, la polizia ovunque, ma nessun problema per chi si professa turista. Non c’è traccia della repressione che sta piegando la società civile bielorussa. Prima di entrare nel Paese ci siamo interrogati sull’opportunità o meno di farlo come semplici turisti, perché da mesi i visti per i giornalisti stranieri sono negati. Il governo bielorusso non vuole occhi indiscreti tra le strade del Paese. La pressione internazionale è tanta dopo le elezioni dell’agosto 2020, quando Alexander Lukashenko, che guida la Bielorussia dal 1994, si è proclamato vincitore con l’80% dei voti, scatenando un’ondata di proteste represse nel sangue. Gli osservatori dell’Osce non hanno potuto monitorare il processo elettorale. Tutte le principali organizzazioni internazionali hanno considerato non valide le votazioni e l’opposizione ha denunciato pesanti brogli. Da quel momento la situazione è degenerata per qualche giorno, perché migliaia di cittadini hanno deciso di riunirsi in piazza e manifestare, fino a quando la polizia non ha iniziato ad esercitare un controllo capillare, blindando il Paese, uccidendo cinque manifestanti e ferendone centinaia. Sono state arrestate trentamila persone, almeno mille hanno subito sevizie e torture, altre cinquanta risultano tuttora disperse.

Da questi dati nasce la voglia di realizzare il reportage da dentro il Paese, ormai chiusosi a riccio alla comunità internazionale. Abbiamo così deciso di provare a filmare un reportage per Rai3, per il nuovo format televisivo “Il fattore umano”, che appunto vuole raccontare le violazioni dei diritti umani in giro per il mondo. Gli esuli bielorussi sono tanti ormai, costretti a lasciare il Paese per paura di ritorsioni, per un’opinione espressa liberamente in strada o sui social network, per la voglia di esporre una bandiera ostile al governo. Abbiamo iniziato una serie d’interviste in Italia, abbiamo preso contatti su Telegram, ma non bastava per capire il livello di terrore che si vive nelle attività clandestine dell’opposizione.

Nei contatti presi prima del viaggio ci hanno consigliato di fare un viaggio da semplici turisti, senza attrezzatura giornalistica, senza richiedere un visto di lavoro e provare a passare dall’aeroporto di Minsk. Abbiamo fatto così ed una volta dentro il Paese ci siamo resi conto che le voci dei dissidenti non erano per nulla esagerate. Solo nel 2020 oltre 450 giornalisti sono stati arrestati. Il governo di Lukashenko ha oscurato almeno cinquanta siti internet indipendenti. Ad oggi circa trenta giornalisti bielorussi si trovano in prigione.
In aeroporto ci aspetta il nostro primo contatto. Ludmilla ha 27 anni, ha deciso di…


Il reportage da Minsk prosegue su Left del 2-8 luglio 2021

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