L’aspetto più importante e interessante dello scontro tra Matteo Renzi e Chiara Ferragni e poi successivamente suo marito Fedez mi pare che stia sfuggendo ai più, soprattutto alla luce dell’accusa (la solita accusa) di “intromettersi” nella politica contro la celebre coppia. Lo racconta perfettamente anche l’editoriale di Stefano Feltri, direttore del quotidiano Domani, che propone «di negoziare un concordato Stato-Ferragnez, per perimetrare l’influenza degli influencer sulla vita pubblica e la politica» in un editoriale in cui ci si diverte a tirare in ballo gli shampoo pubblicizzati per sminuire e canzonare.
Il primo aspetto sta tutto nella frase di Renzi (ma non è un discorso che riguarda solo Renzi, riguarda indistintamente tutti e ogni volta ripete le stesse dinamiche) che dice alla Ferragni «la politica non si fa su Instagram». Questa pletora di politici che sognano di fare gli influencer, che rovistano tra le foto in occasione del lutto di ogni personaggio pubblico, che si fotografano mentre corrono, mentre mangiano, mentre giocano con i figli, mentre preparano le grigliate, mentre vanno allo stadio o mentre fanno la spesa usano i social per raccattare un po’ di algoritmica empatia nella speranza di trasformarla in voti, si battagliano a colpi di follower (“io ne ho più di te”) e fanno (male) quello che Chiara Ferragni ha trasformato in una redditizia attività. È la favola della volpe e dell’uva, sempre quella, solo che la stragrande maggioranza dei politici usano i social per fingere interviste che nessuno gli vuole fare e per immaginare paparazzi assolutamente disinteressati a loro con il risultato di essere patetici. E quindi disprezzano ciò che non sanno governare. Accade sempre così, anche con i cittadini.
Poi c’è questa idea per cui i social siano abitati da strani esseri che non vivono nella vita reale: i social sono un luogo che come tutti i luoghi hanno bisogno di regole ma le opinioni dei cittadini (soprattutto se certificati, riconoscibili e riconosciuti come Fedez e Ferragni) non hanno bisogno di regole se non incitano all’odio, alla violenza o al commettere reati. Ma come? Ma tutta questa manfrina sulla libertà di pensiero dell’articolo 21 della Costituzione ce la siamo già dimenticata? Anche qui il procedimento è molto più semplice, perfino banale: ci sono persone che hanno molti più “lettori” e “ascoltatori” di altri media che sono rimasti nella loro torre d’avorio. I vecchi si arrabbiano perché perdono terreno e loro che rivendicavano fino a qualche anno fa il peso dei numeri ora la buttano sulla nobiltà dei contenuti. Fa piuttosto ridere, davvero.
Poi c’è l’assoluta perdita del senso delle proporzioni. Lo ha scritto benissimo ieri Alessandro Robecchi su twitter: «Ma ho capito bene? Il direttore del quotidiano dell’imprenditore De Benedetti, già padrone di Repubblica, si duole e si dispiace perché l’imprenditrice Chiara Ferragni influenza l’opinione pubblica con il suo account Instagram? Sul serio? Ahahah!». E poi, sempre Robecchi: «De Benedetti, Elkann, Cairo (e altri) sono influencer coi giornali. Chiara Ferragni è influencer col suo account. Fugurati se non sono contrario al conflitto di interessi tra imprenditori e media. Ecco, diciamo che iniziare da Fedez sembra un po’ grottesco».
E infine c’è la politica, ovvero l’occuparsi della polis, della cosa pubblica, che per fortuna è un diritto e un dovere di tutti i cittadini. Tutti. E sentire i campioni del trasformismo e della banalità rivendicare una superiorità di cui si sono autoproclamati rende tutto ancora più goffo. E intanto ancora una volta si è alzato un polverone senza parlare di contenuti, un altro giorno ancora.
Buon venerdì.