Dalle violenze di Bolzaneto e della Diaz al pestaggio nel carcere di Santa Maria Capua Vetere sono passati venti anni ma l’idea che vendetta, tortura e vessazione siano strumenti di polizia è la stessa. E da tempo Giorgia Meloni vorrebbe cancellare la legge contro la tortura

Con lucida e cinica consapevolezza, vent’anni fa, prima a Napoli e, poi, a Genova, il potere decise di sospendere la democrazia. Fu uno spartiacque storico nella storia post bellica della democrazia costituzionale e dello Stato di diritto che, nel Paese di Beccaria e Calamandrei, ha sempre considerato l’habeas corpus del praetor romano il fondamento primo: il potere statuale, che ha il monopolio della violenza, regolamentato da Costituzione e leggi, ha il dovere di tutelare il corpo delle persone che detiene nelle proprie mani. La mattanza della scuola Diaz, le torture di Bolzaneto disvelano la violenza criminale del rapporto tra potere e cittadini. Come fu la strage di Stato di Milano del 12 dicembre 1969. Stragi di Stato, depistaggi di Stato, consapevolezza di immunità ed impunità: cellule fasciste organizzate dal potere politico all’interno dello Stato.

Ma perché quella mattanza? Perché il movimento non era solo una relazione tra politica e società, ma precisamente un’altra idea della politica. Si apriva un ciclo nuovo della soggettività delle lotte: l’ultimo grande ciclo internazionalista di lotta di massa. Erano lotte per la liberazione articolate, coinvolgenti, creative. Il movimento New global metteva in crisi anche il modello “sviluppista” della socialdemocrazia. Si qualificava per una ricerca sul campo sull’idea di “altersviluppo”, di sviluppo alternativo.

Come scrisse Michael Hardt: «Il…

 

* Un’immagine tratta da un video delle violenze subite da alcuni detenuti del carcere di Santa Maria Capua Vetere, pubblicato dal quotidiano Domani a fine giugno


L’articolo prosegue su Left del 16-22 luglio 2021

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