A Bruxelles è in discussione una direttiva che mira a garantire nei Paesi Ue una soglia retributiva minima al di sopra di quella di povertà. La confederazione europea dei sindacati è favorevole e in vari Stati è già realtà. Come in Germania, grazie all’impegno della Linke

In Europa si è riaperto il dibattito sul salario minimo. Il Parlamento europeo sta esaminando una proposta di direttiva sul tema, redatta dalla Commissione. Richiede che i salari minimi siano fissati al di sopra della soglia di povertà. L’obiettivo è la lotta alla disuguaglianza e alla povertà lavorativa. Il salario minimo, hanno sottolineato gli eurodeputati, deve valere per tutti i lavoratori, anche per i lavoratori atipici ed in particolare per i lavoratori delle piattaforme digitali.

In realtà, la proposta di Direttiva lascia aperta una discrezionalità nella determinazione dei salari minimi, se attraverso una norma di legge o mediante contrattazione (come fanno 6 Paesi su 21, tra cui l’Italia, ndr). Essa mira a garantire, in ogni caso, salari minimi adeguati, a farli rispettare, e a far crescere il tasso di copertura della contrattazione collettiva nei Paesi membri.

Pur essendo una realtà nella maggioranza dei Paesi europei, il salario minimo è ancora oggetto di molte polemiche. Si discute se la sua introduzione sia veramente necessaria o sia piuttosto un pericolo per lo sviluppo economico, e poi si discute sulla cifra a cui dovrebbe ammontare. Sul tema, i sindacati europei hanno posizioni diverse. I sindacati scandinavi, ad esempio, non sono molto favorevoli alla misura perché ritengono che la sua introduzione non sia necessaria e temono che il salario minimo minerebbe il sistema delle relazioni sindacali nei loro Paesi.

Malgrado questa critica e le posizioni controverse delle sigle che la compongono, la Confederazione europea dei sindacati (Ces) si è…


L’articolo prosegue su Left del 30 luglio – 5 agosto 2021

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