Gino Strada è molte cose e come succede alle persone non ordinarie tutti i suoi lati si vedono in quello che lascia, nei progetti che ancora correranno domani appena passerà il dolore, negli ospedali che continuano a curare, nella sua associazione che è un modo di abitare il mondo.
Ripeteva Gino Strada di essere un medico, lui era uno che ci credeva davvero al senso delle parole, che non cadeva e anzi combatteva questo gioco continuo a inquinarne il senso: Gino Strada non faceva il medico, Gino era un medico con il gusto perfino sprezzante di rivendicare la sua ossessione di curare. E Gino Strada non ha curato solo le persone, no, Gino Strada ha curato e difeso un modo di essere cittadini del mondo dove solo il dolore, il bisogno e le ferite contano.
Gino Strada in un’epoca di perbenismo che si finge moderato e invece è solo vigliacco ha insegnato il coraggio di essere contrario: ha rivendicato il dovere di essere contro la guerra oltre al diritto di essere pacifista, ci ha insegnato che siamo responsabili di ogni sofferenza in qualsiasi angolo del pianeta con la stessa violenza di un rantolo che accade sul nostro di vano, non ha mai smesso di smutandare la pochezza di chi usa i confini come fruste, di chi ritiene le distanze qualcosa che abbia a che fare con le responsabilità, di chi ritiene la cura un servizio da cui poter mostruosamente trarre profitto, di chi riesce a porre disumanamente delle condizioni mentre osserva qualcuno che muore.
Gino era bianco, bianchissimo. Era talmente bianco che nessuna ombra poteva salvarsi dal proprio riflesso. Per questo l’hanno odiato, hanno provato a delegittimarlo e ad additarlo come estremista: si può non essere estremi di fronte alle vittime della guerra? E quando lui lo ripeteva quelli balbettavano. Ci si può permettere di non essere estremi di fronte ai malati che diventano clienti? Si può accettare di vivere in un mondo in cui salvarsi e essere salvati sia un privilegio? Dai, su.
Gino ci ha insegnato che la profondità serve solo per disegnare altezze, che le ambizioni non possono concedersi il lusso di sclerotizzarsi e che bisogna essere fortissimamente liberi per essere idealisti. Che poi è una parola bellissima “idealisti”, qualcosa che non ha niente a che vedere con la hybris e i giramenti di testa, qualcosa che si progetta, si costruisce, si apre e si rende operativa. Gino piantava cura lì dove gli altri vedevano solo macerie.
Non gli sarebbe nemmeno piaciuto questo articolo, troppo su di lui e con troppo spazio non usato per parlare delle persone da salvare. È che non mi vengono le parole. Mi ha mostrato la parte migliore di me e del mondo e ogni volta, anche questa volta, non mi vengono le parole. E invece per lui era tutto così semplice, così chiaro che non potevi sperare altro se non riuscire ad arrampicartici addosso.
Grazie, Gino.