Il ministro non ha cambiato idea sulla nomina nemmeno di fronte allo sconcerto dei familiari delle vittime di stragi. Eppure i dirigenti archivisti al ministero non mancano

Riuscire a far infuriare i parenti delle vittime delle stragi di matrice neofascista con una semplice nomina dirigenziale, tecnica, per di più il 16 di agosto, è impresa davvero difficile: di norma queste nomine passano senza che vi sia alcuna discussione, né interna né esterna ai ministeri. Eppure è proprio ciò che è stato capace di fare Dario Franceschini scegliendo come sovrintendente dell’Archivio Centrale dello Stato, tra decine di possibili candidati, il direttore della Biblioteca Nazionale di Roma, Andrea De Pasquale. Anche la lettera diffusa 21 agosto dal Ministro, dopo cinque giorni di attesa, non è bastata placare le polemiche. Ma da dove nasce, una tale rovente contestazione? Andiamo con ordine.

Le prime contestazioni, con una lettera al premier Draghi, sono arrivate il 16 agosto dalle famiglie delle vittime della strage di Bologna del 2 agosto 1980, a causa del ricordo, ben vivido, del comportamento tenuto da De Pasquale in occasione dell’acquisizione del fondo Pino Rauti – ideologo neofascista e fondatore di Ordine Nuovo, centro studi da cui fuoriuscì un movimento politico omonimo con diversi membri implicati in stragi durante gli anni della “strategia della tensione” – nel novembre 2020, nel giorno del compleanno di Rauti. In quell’occasione, il direttore non solo lo accettò così come era stato confezionato dalla famiglia Rauti, senza prevedere un vaglio tecnico-scientifico a cura di archivisti così da permettere una migliore contestualizzazione e fruibilità. Pubblicò, soprattutto, sul sito della Biblioteca, inviandolo a tutti gli iscritti alla newsletter dell’istituto, un messaggio dai toni a dir poco celebrativi, in cui si descriveva Rauti come “organizzatore, pensatore, studioso, giornalista. Tanto attivo e creativo, quanto riflessivo e critico”, tacendo naturalmente dei suoi decenni di attivismo contro lo Stato e la Repubblica, mentre il fondo era definito “una fonte di informazione politica di prim’ordine e anche un valido punto di riferimento di natura culturale”. Chiunque abbia abbastanza anni per ricordare la figura di Pino Rauti, sorriderà amaro a questa descrizione, gli altri con una breve ricerca potranno informarsi su una figura che, sicuramente rilevante per la storia di questo Paese, andrebbe certo contestualizzata e descritta, conosciuta, non celebrata. Il messaggio contestato è stato rimosso dal sito istituzionale dopo poche ore (sotto richiesta del Ministro stesso). Ma il fondo è ancora lì, allestito secondo il volere della famiglia, rischiando di fornire agli utenti della Biblioteca uno strumento parziale e fuorviante su quegli anni. E quella presenza, quella inaugurazione, ha assunto un sapore politico, come rivendicato anche dalla donatrice Isabella Rauti in un video celebrativo girato all’interno della Biblioteca Nazionale. Ecco quindi la paura dei familiari delle vittime, data la mole di documenti presenti all’Archivio di Stato, molti dei quali in via di desecretazione e che potrebbero contribuire a far luce su queste vicende oscure. Scrive Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione dei parenti delle vittime della strage di Bologna, che se la nomina non fosse bloccata dovrà “pensare che nei fatti non c’è nessuna volontà di fare chiarezza sui retroscena della strage e delle stragi in generale, sulle collusioni degli apparati, di chi erano i gladiatori, delle loro ‘imprese’ e tantomeno delle varie implicazioni politico terroristiche della famigerata loggia P2″. Scriveva anche, Bolognesi, che De Pasquale è “una persona che ha sicuramente i titoli, ma non la visione e lo spessore che dovrebbe caratterizzarne il ruolo”.

La sera del 18 agosto, Andrea De Pasquale, curiosamente, risponde alle critiche con un post su Facebook in cui elencava i suoi titoli: quindi l’unica cosa che nessuno gli stava contestando. Fino ad allora. In realtà, come ben messo in luce da Tomaso Montanari su Il Fatto Quotidiano il giorno successivo, neppure i titoli depongono a favore di De Pasquale: pur avendo una formazione in parte archivistica (ma la divisione più o meno netta tra i due percorsi formativi è cosa recente), De Pasquale è entrato al Ministero in qualità di bibliotecario e, come si vede nel suo curriculum (nella parte non citata dal suo post Facebook), ha sempre diretto biblioteche e mai un archivio, che ha regole e bisogni diversi. Che la sua prima esperienza dirigenziale nell’ambito sia l’Archivio Centrale dello Stato fa una certa impressione, anche perché ciò, come sottolinea ancora Montanari, ignorerebbe una legge del 2008 che impone di avere un archivista come direttore dell’archivio. Giustamente. Anche se, c’è da dire, queste aporie sono ormai diventate un segno distintivo del modus operandi franceschiniano: basti pensare che l’attuale direttrice dell’Archivio di Stato di Roma, in carica dal gennaio 2021, è una storica dell’arte, dirigente scolastica, priva di qualsivoglia formazione o esperienza nel settore archivistico.

Di fronte a queste critiche e contestazioni – più o meno impreviste, c’è da immaginarsi – parte della classe dirigente scelta da Franceschini ha reagito in maniera convulsa. In particolare Giuliano Volpe, presidente emerito del Consiglio Superiore dei Beni Culturali, professore ordinario di archeologia e grande sostenitore della riforma Franceschini, ha pubblicato un attacco sconclusionato sui suoi canali social: “Purtroppo i talebani non sono solo a Kabul ma anche in Italia e c’è chi si è detto orgoglioso di essere definito talebano. La vicenda delle reazioni alla nomina di Andrea De Pasquale lo dimostra. Difendiamo il pensiero laico e libero contro le posizioni intransigentemente fanatiche di certi sedicenti progressisti molto apprezzati nel nostro mondo e molto presenti sui media”. Senza rendersi conto, probabilmente, sia della gravità dell’accostamento (come si può paragonare chi critica a chi usa violenza sistemica? Per di più considerando l’emergenza in corso) sia dell’assurdità dello stesso, avendo finito per paragonare ai talebani le famiglie delle vittime del terrorismo. Nessuno, della cerchia di dirigenti franceschiniani, ha ancora sentito il bisogno di prendere le distanze dalle parole di Volpe. Dall’altra parte, il Consiglio Superiore dei Beni Culturali in carica, nello stesso giorno, inviava a Dario Franceschini una nota in cui condivideva la posizione delle associazioni delle famiglie delle vittime: ma, come rivelato oggi da Tomaso Montanari sul Fatto Quotidiano, decideva di non renderla pubblica.

In tutto ciò, altri due aspetti che rendono critica la nomina di de Pasquale sono emersi solo in seguito, con un nuovo comunicato stampa firmato da noi di Mi Riconosci e dalle associazioni delle vittime delle stragi.

Il primo riguarda la vicenda degli “scontrinisti”, del 2017. Quell’anno 22 “volontari” della Biblioteca Nazionale denunciarono che in realtà lavoravano con turni e compiti specifici, ed erano pagati a rimborso spese attraverso la consegna di scontrini fino a 400 euro al mese. Protestarono, chiesero un lavoro vero. De Pasquale non solo non si impegnò per tutelare questi lavoratori, ma non si registra neppure una vera e propria presa di distanze nelle cronache del tempo. A maggio, gli scontrinisti ricevettero un SMS che chiedeva loro di non presentarsi più al lavoro, e pochi giorni dopo venne pubblicato un nuovo bando per volontari pagati con rimborso spese.

Il secondo riguarda il fatto che l’Archivio Centrale dello Stato vedrà nei prossimi anni la realizzazione del progetto più costoso della sua storia recente. Si troverà infatti a dover dirigere i progetti di digitalizzazione del materiale archivistico, gestendo una parte considerevole (ancora non nota) dei 500 milioni di euro stanziati per progetti di digitalizzazione attraverso il PNRR: processi di digitalizzazione archivistica che seguono regole e bisogni molto diversi da quelli che caratterizzano le biblioteche. Davvero, di fronte a una spesa tanto ingente, la direzione migliore possibile è quella di una persona che non ha mai diretto un archivio?

In sintesi, Franceschini starebbe scegliendo per l’Archivio Centrale un direttore che non si è fatto problemi in passato a utilizzare il lavoro sottopagato, che ha permesso a una determinata parte politica di utilizzare la Biblioteca per mandare determinati messaggi, appunto, politici, e che non ha esperienze dirigenziali nel settore archivistico.

La politica, si è mossa, e non poteva essere altrimenti. Il PD è in fermento, e già nella giornata di giovedì esponenti Leu e il M5S chiedevano di bloccare la nomina. I familiari delle vittime hanno scritto anche a Mattarella, e sabato 21 agosto hanno anche spiegato di trovare “inaccettabile” che De Pasquale si firmi già da direttore, prima di entrare formalmente in carica. A quel punto è scattata, dopo lunghissimi giorni di silenzio, la risposta di Dario Franceschini, colui che ha scelto Andrea De Pasquale: ha rivendicato la nomina con piena responsabilità, ha detto ai familiari di restare tranquilli perché le loro preoccupazioni “non hanno ragione di esistere”, ha spiegato che la scelta è avvenuta “esclusivamente in base al curriculum professionale” (strano, essendoci tanti dirigenti archivisti nel Ministero), ha calcato sul fatto che l’episodio di novembre non può essere “elemento sufficiente per mettere in discussione una nomina”, scordando tutti gli altri episodi e aspetti che abbiamo analizzato in questo articolo. Parla di scuse di De Pasquale nel novembre 2020, che alle famiglie delle vittime non risultano (vi fu una lettera, che però non era di “scuse”), poi aggiunge che “i dirigenti devono sempre e comunque applicare le norme”, come se ciò fosse garanzia che non possano avvenire abusi. Ma soprattutto, si sofferma sul fatto che la nomina è già “completata da giorni con la firma mia e del Ministro della Funzione Pubblica, su delega del Presidente del Consiglio”, come a dire: fermatevi, è tutto fatto, inutile scrivere a Draghi o Mattarella. Tutto fatto nel pieno di agosto, in silenzio. Insomma, una lettera piena di ricostruzioni parziali e omissioni: si arriva a dire che il messaggio celebrativo su Rauti “non era stato scritto dal direttore”, come se non avere contezza di ciò che comunica la biblioteca fosse una scusante e non un’aggravante.

Come prevedibile, la lettera non è bastata. Le associazioni delle vittime hanno immediatamente replicato dicendo che lo scritto del Ministro “sbatte la porta in faccia alle associazioni e alle tante donne e uomini di cultura che si sono associati alle nostre preoccupazioni” e che “la nomina di De Pasquale a sovrintendente dell’Archivio di Stato è un vulnus intollerabile, una operazione che sembra serva a tranquillizzare quegli apparati che ancora oggi hanno paura della verità”. La vicenda è appena agli inizi, come dimostrano le dimissioni di Tomaso Montanari dal Consiglio Superiore dei Beni culturali “per denunciare l’arroganza del ministro”. Perché il problema, infatti, senza voler porre alcuno stop preventivo, è sempre capire perché: perché proprio questa nomina, nonostante la serie di errori (riconosciuti, dato che il messaggio celebrativo pro-Rauti è stato rimosso) e nonostante la non aderenza professionale al ruolo. Ancora non è dato saperlo.

Gli autori: Leonardo Bison e Flavio D. Utzeri fanno parte del collettivo Mi riconosci? Sono un professionista dei beni culturali

 

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