È iniziata la tipica fase in cui ci imbattiamo ogni volta che l’Occidente combina disastri in qualche Paese straniero e ha l’urgenza di apparire con la faccia del buono. Diceva Gino Strada (e lo ripete spesso e bene sua figlia Cecilia) che per fare bene la guerra bisogna imparare a usare bene le parole che servono per compiere la truffa in modo chirurgico: le missioni di pace che sono stracariche di armamenti ne sono un fulgido esempio ma anche le bombe che dovrebbero essere “intelligenti” o peggio i cosiddetti “danni collaterali” (che sono civili innocenti rimasti ammazzati per terra) rendono perfettamente l’idea di un’operazione di disinfestazione utile a fare apparire vero ciò che invece non lo è.
Le foto dei soldati che salvano i bambini, ad esempio, sono certamente funzionali per una superficiale impressione in cui i buoni sono talmente buoni da apparire salvifici e i bambini vengono tratti in salvo grazie all’attenzione dei soldati occidentali che con le loro mani li strappano dall’inferno: quei bambini vengono strappati dalle loro famiglie che non sanno mai se riusciranno a mettersi in salvo da una situazione in cui gli Stati che vorrebbero apparire come salvatori hanno responsabilità enormi. Non solo: sono gli stessi soldati che puntano i loro fucili contro quei bambini nei campi profughi in giro per il mondo. Non solo: sono gli stessi soldati che hanno addestrato quelli che ora sono diventati carnefici, sono gli stessi soldati che esportano la democrazia a suon di bombe.
Certo non è facile tenere la barra dritta e mantenere un equilibrio di osservazione, restando lucidi. Però, sia detto, questa insopportabile trasformazione in “buoni” è innocente e immorale. Ieri in Italia è esplosa la fiabesca narrazione di Tommaso Claudi, definito “console” su tutti i siti dei principali media mentre viene fotografato indaffarato a salvare bambini. Peppe Marici, portavoce del ministro degli affari esteri Di Maio, ha confezionato un zuccheroso tweet: «Oltre quel muro c’è la speranza. Grazie al nostro console a #Kabul Tommaso Claudi. Non si sta risparmiando, senza sosta, fino all’ultimo». Benissimo. Peccato che Claudi (persona dalle indubbie qualità morali per il coraggio e per la dedizione alla causa) non sia “console” ma semplice “secondo segretario generale” (come fa notare mazzetta su twitter) e questa morbida narrazione serve per non dire che l’ambasciatore Vittorio Sandalli se n’è andato dall’Afghanistan in fretta e furia. Non solo: la Farnesina nei giorni scorsi ha confezionato una nota esultante in cui ci dice che l’Ambasciata italiana a Kabul è stata ricostituita, udite udite, a Roma (sembra uno scherzo, lo so). Nella nota si dice che a Kabul è rimasto un “presidio diplomatico” che altro non è quel Tommaso Claudi facente funzioni di console ma che non lo è visto che non esiste nessun consolato italiano. Se a qualcuno viene il dubbio che tutti gli ambasciatori per motivi di sicurezza se ne siano andati allora vale la pena sapere che l’ambasciatore britannico è molto apprezzato in patria proprio perché è rimasto, l’ambasciatore tedesco incontra e tratta di persona con i talebani, l’ambasciatore francese a Kabul è indaffaratissimo, come quello dell’Unione, l’ambasciatore spagnolo a Kabul dice che non rientrerà fino a che l’ultimo spagnolo e l’ultimo collaboratore degli spagnoli non avranno lasciato l’Afghanishtan. E se vi è capitato di leggere giornali entusiasti per l’italiano Pontecorvo, definito “ambasciatore” si sono dimenticati che lavora per la Nato.
Questo è solo un piccolo esempio eppure racconta moltissimo della comunicazione in tempo di guerra. E qui, se ci pensate bene, siamo sempre in guerra: pensate come sta messa la comunicazione.
Buon martedì.
(foto da Twitter)
* Riceviamo e pubblichiamo una precisazione di Peppe Marici, portavoce del ministro degli Affari esteri
Gentile Direttore,
Le scrivo dopo aver letto l’articolo pubblicato sul suo giornale dal titolo: “Il fondotinta sulla narrazione”.
Premetto che davanti allo sforzo immane della nostra diplomazia e dei nostri militari, qualsiasi tipo di polemica rischia di distogliere l’attenzione dal lavoro incessante e rischioso che questi servitori dello Stato stanno portando avanti con passione, professionalità e sacrificio.
C’è un passaggio del pezzo in questione che, per correttezza innanzitutto nei confronti di Tommaso Claudi in queste ore ancora a Kabul, va doverosamente chiarito.
‘Ieri in Italia è esplosa la fiabesca narrazione di Tommaso Claudi, definito “console” su tutti i siti dei principali media mentre viene fotografato indaffarato a salvare bambini. Peppe Marici, portavoce del ministro degli affari esteri Di Maio, ha confezionato un zuccheroso tweet: «Oltre quel muro c’è la speranza. Grazie al nostro console a #Kabul Tommaso Claudi. Non si sta risparmiando, senza sosta, fino all’ultimo». Benissimo. Peccato che Claudi (persona dalle indubbie qualità morali per il coraggio e per la dedizione alla causa) non sia “console” ma semplice “secondo segretario generale”’.
È doveroso chiarire che “console” è chi svolge funzioni consolari, al di là del grado nella carriera diplomatica. In pratica, il console si occupa di tutelare gli interessi dei propri connazionali in un Paese straniero e fornire servizi (consolari) soprattutto amministrativi, come il rinnovo dei passaporti, il rilascio dei visti o la trasmissione di atti e documenti giudiziari.
In merito a Tommaso Claudi, dunque, è importante operare una distinzione tra il suo “grado” di carriera e le “funzioni” che svolge presso l’Ambasciata a Kabul. Tommaso Claudi è un giovane diplomatico al grado iniziale della carriera, grado che prende il nome di Segretario di Legazione.
A Kabul, gli è stata affidata dall’Ambasciatore la funzione di Capo della Cancelleria Consolare. In tale veste, Tommaso svolge svariati compiti, tra i quali: proteggere gli interessi nazionali e tutelare i cittadini italiani e i loro interessi, mantenendo con tutti loro contatti costanti; prestare soccorso e assistenza ai cittadini italiani in Afghanistan; svolgere le funzioni di ufficiale dello Stato civile, notarile, di volontaria giurisdizione, polizia giudiziaria; rilasciare passaporti e documenti di viaggio agli italiani in loco, favorendo gli scambi culturali con il programma “Study in Italy”. Infine, Tommaso Claudi è sempre stato – vista l’attribuzione delle funzioni consolari, e ben prima della situazione attuale – il primo interlocutore dell’Unità di Crisi della Farnesina per il piano emergenza della Sede.
La replica di Giulio Cavalli
Prendo atto della precisazione che in realtà non sposta di una virgola il senso del pezzo: un giovane diplomatico a inizio carriera (e viste le sue enormi qualità umane oltre che professionali ci auguriamo che sia una carriera lunga) era l’unico presidio italiano in Afghanistan. La narrazione generale si è “dimenticata” di dirci che il nostro ambasciatore fosse partito ben prima (a differenza di altri ambasciatori) e che il ruolo di una diplomazia che funzioni e che riesca a risolvere in modo sistematico è molto di più di una foto.
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