Organizzazione mondiale della sanità: La priorità è dare i vaccini a chi non li ha ancora avuti, per non essere travolti da nuove varianti

Per ora sono solo tre i Paesi al mondo che hanno introdotto l’obbligo vaccinale per tutti: l’Indonesia, il Turkmenistan e il Tagikistan. Ma in molti Paesi vige comunque l’obbligo per il personale sanitario (Francia e Italia), oppure viene chiesto ai datori di lavoro di garantire almeno il 60% di dipendenti vaccinati (Russia). Il green pass, più o meno esteso, è largamente diffuso. In Germania Merkel in piena campagna elettorale ha confermato la sua linea che prevede di convincere al vaccino senza obbligare. In Francia e in Italia la discussione sull’obbligo vaccinale è aperta. Di recente il segretario della Cgil ha detto che se il governo e il Parlamento prendessero in considerazione di intervenire per legge sull’obbligo vaccinale il sindacato non si opporrebbe. Lo stesso Landini aveva messo in guardia rispetto ad usi del green pass che possano creare elementi discriminatori rispetto ai lavoratori. Questa posizione per me coglie il punto.

Se il vaccino è indispensabile alla salute pubblica, alla tutela individuale e a combattere la pandemia è giusto che lo Stato si assuma le sue responsabilità e prescriva il vaccino. Per farlo serve, da Costituzione, una legge. Fin qui si è proceduto di massima per decreti combinati con uno stato di emergenza che in Italia ha ormai raggiunto una durata record.
La legge sarebbe lo strumento proprio con cui si definiscono con certezza di doveri e diritti l’obbligo vaccinale. Come si è fatto nella storia rispetto ad altre malattie che andavano debellate.

Ora, non c’è dubbio che sulla pandemia sia mancata una discussione pubblica nelle sedi istituzionali a tutti i livelli (globali, europee e nazionali). Una discussione che coinvolgesse in modo organizzato la comunità scientifica e definisse il quadro di azione in modo da consentire di andare oltre la gestione frammentaria e frammentata della emergenza. Portare a scusa di ciò il carattere improvviso e virulento della pandemia è per altro improprio visto che di possibili eventi di tal fatta si parlava da vent’anni.

Al posto di questa discussione organizzata che avrebbe consentito scelte e assunzioni di responsabilità c’è stata la gestione emergenziale, mercantile e profondamente difforme del Covid. Che non accenna a essere superata vista la situazione che perdura di queste caratteristiche perniciose. Abbiamo infatti una parte del mondo che dispone di vaccini ma che è frenata nel loro impiego da dubbi e contrarietà che non trovano risposta in una piena assunzione di responsabilità pubblica mentre si spinge piuttosto sul richiamo ai comportamenti. Nel frattempo c’è una parte larghissima dei Paesi poveri che non ha per nulla disponibilità di vaccini per l’impossibilità economica e organizzativa di accedervi.

Si discute della terza dose, ancora in modi frammentati e non ordinati, mentre l’Oms richiama alla priorità di dare i vaccini disponibili a chi non li ha avuti per non essere travolti da varianti incubate laddove non si fa vaccinazione vanificando l’accaparramento dei ricchi. Nel contempo le multinazionali del farmaco hanno proceduto ad un aumento generalizzato del 25% sul costo di vaccini prodotti con soldi pubblici dati alla loro ricerca e dicono che loro le varianti le inseguono invece che precederle. Perché per precederle ci vorrebbe che il vaccino ci fosse e fosse dato a tutti e non si stesse nella condizione – come denunciato dal Parlamento europeo – di produrre utilizzando solo il 40% dell’apparato produttivo potenzialmente disponibile per ragioni legate all’assetto proprietario e dei brevetti. Brevetti che ci si guarda bene dal sospendere. Per di più tutto ciò che serve insieme al vaccino per mettere in sicurezza la società intervenendo sui fattori di rischio e potenziando la sanità pubblica è lungi dall’essere al centro dei piani di rinascita economica, per non parlare di ciò che si fa verso i Paesi poveri.

Se torniamo all’Italia vediamo come la ripresa autunnale alle porte ci consegna una situazione scolastica, dei trasporti, della sicurezza sul lavoro che è del tutto uguale a prima, cioè pessima. In questa mancanza di assunzione pubblica di responsabilità da parte delle istituzioni rientra a mio avviso anche il mancato obbligo vaccinale deciso per legge.
Se la pandemia non permette una “autogestione” del rischio compatibile con la vita sociale e il vaccino è una risorsa indispensabile per combatterla perché riduce fortemente i rischi di ammalarsi e contagiare, l’assunzione della responsabilità istituzionale della sua obbligatorietà è una funzione democratica laddove l’intervento surrogato sui comportamenti può determinare effetti impropri.

Naturalmente una funzione siffatta richiede lo strumento della legge e non il carattere emergenziale della decretazione. Come dovrebbe essere naturale dacché l’obbligo sta insieme al diritto mai come in questo caso universale. Diritto per tutti, ovunque, pena l’inefficacia. Ciò che non accade con l’attuale sistema a dominio mercantile che perciò va cambiato, a partire dai brevetti ma anche sottraendo al privato il monopolio produttivo e riconsegnandolo al pubblico magari con una industria pubblica europea dei farmaci. Come al pubblico va riconsegnata, o consegnata, la tutela della salute pubblica con appositi servizi sanitari. Il 5 e 6 settembre si riuniscono a Roma i ministri della Sanità del G20.

Finora nonostante la pandemia nulla è cambiato nella folle logica mercantile. Dalla pandemia, al disastro climatico, alle guerre come quella in Afghanistan i dominanti si confermano incapaci e impuniti. I movimenti anche il 5 e il 6 torneranno a farsi sentire per proporre un’altra agenda, quella della società della cura che dice basta a fare profitti sui popoli e sul pianeta.

 

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L’editoriale è tratto da Left del 3-9 settembre 2021

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