È in atto una vera e propria campagna di terrore nei confronti dei profughi, dettata da ragioni politiche e geopolitiche

Muri o corridoi? Quale sarà la scelta dell’Ue e dei Paesi interessati rispetto alla ennesima e prevedibile crisi umanitaria che si è scatenata in Afghanistan? Ad oggi la risposta più probabile è che entrambe le opzioni verranno, in maniera diversa, utilizzate, tenendo conto di quelle che sono le condizioni interne dei singoli Paesi con un occhio rivolto alle scadenze elettorali e l’altro alla sana – speriamo perdurante – ondata emotiva suscitata dalle immagini che giungono da Kabul. Nessun elemento di autocritica rispetto alla scelta compiuta venti anni fa di “esportare democrazia” a suon di cacciabombardieri e soldati, al massimo l’ammissione di qualche errore politico e militare negli anni successivi e un più generale chiudere gli occhi sui danni portati.

Venendo però al presente il ritiro delle forze Nato e il ritorno dei taliban al potere era da almeno un anno più che previsto. Al di là degli accordi di Doha era certo che i fondamentalisti – che peraltro già controllavano una parte consistente del Paese – non avrebbero accettato interferenze esterne nel definire la realizzazione dell’Emirato islamico dell’Afghanistan, tanto è che così come da gennaio almeno 250mila persone si erano messe in cammino per uscire dal Paese, i Paesi confinanti e limitrofi avevano già iniziato a progettare barriere per fermare i profughi immediati e futuri.

Alcuni muri esistono già come quello unilateralmente costruito dal Pakistan dal 2017 e contestato dalle allora autorità afghane, che ha messo “in sicurezza” 200 km dei 2.611 km di frontiera. Si tratta di una coppia di recinzioni a maglie di catena di tre metri, con uno spazio di due metri sormontato da filo spinato a cui si sono aggiunti circa 150 nuovi posti di frontiera, un terzo di quelli progettati e attivi già dal 2019. Anche l’Iran ha rafforzato i posti di frontiera (insieme al Pakistan è il Paese in cui sono presenti più profughi afghani), l’attraversamento irregolare è divenuto però un business ancora più florido nei due Paesi come nelle repubbliche caucasiche.

Ad aprire una vera e propria campagna di terrore – dettata da ragioni politiche – sono però ben altri attori. La Grecia ha completato recentemente la costruzione di un muro di 40 km alto 5 mt, al confine di Evros con la Turchia, che, a sua volta sta realizzando 46 km di fortificazioni al confine iraniano della provincia di Van che si aggiungono ai 146 km in altre province confinanti. Temendo che qualcuno riprenda la rotta che passa per la Bielorussia, la Lituania ha iniziato la costruzione di un muro che si estenderà entro il 2022 per 508 km mentre, sempre lungo il confine bielorusso, la Polonia prepara una recinzione di 140 km. Si tratta di opere che…


L’articolo prosegue su Left del 3-9 settembre 2021

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