Dal 10 al 12 settembre a Roma la tappa del percorso promosso per far conoscere la realtà dei Paesi impoveriti dalle politiche predatorie delle grandi potenze mondiali. Una mobilitazione per chi vive tra fame, crisi climatica e sfruttamento

Mentre si susseguono a ritmo spedito gli appuntamenti del G20 a presidenza italiana, va avanti con determinazione la marcia partita da Reggio Calabria nei giorni 22/25 luglio. I temi sono gli stessi ma affrontati con un approccio totalmente differente, attraverso lo sguardo di occhi capaci di raccontare la sofferenza ma anche le conoscenze, le competenze e la cultura degli ultimi del mondo. I 20 ultimi Paesi del nostro pianeta, secondo gli indicatori statistici internazionali, meritano una narrazione nuova, che parta dalle virtù e le competenze di questi popoli che nelle dinamiche internazionali sono considerati i più deboli.

The Last Twenty, i L20
Non poveri, ma impoveriti dalle politiche predatorie, dalle guerre di posizionamento geo-strategico e con tutte le connesse, disastrose implicazioni. A cominciare dall’immorale commercio e traffico di armi messo in atto dalle grandi potenze mondiali del G20 e dalla indecente tolleranza delle stesse del traffico di esseri umani. Ed ancora, impoveriti dall’assalto alle loro risorse naturali, dallo sconvolgimento climatico, dall’inaridimento del suolo, e da sistemi economico produttivi lesivi dei diritti delle comunità.
A Roma nei giorni 10,11 e 12 settembre (all’Università degli Studi Tor Vergata) avrà luogo la seconda tappa del percorso partito a luglio da Reggio Calabria, con i temi dell’immigrazione, dell’accoglienza, dei corridoi umanitari, dell’inclusione, lo sviluppo locale e il ruolo delle reti dei comuni solidali e della cooperazione decentrata.
La tappa romana sarà incentrata sulle cause dell’impoverimento nei Paesi Last 20 e i percorsi d’uscita dal punto di vista degli “ultimi”.

In sei nutrite sessioni saranno affrontati i temi dell’insicurezza alimentare, la povertà, la fame, la condizione femminile. Saranno indicati e discussi possibili e praticabili percorsi di “fuoriuscita” dalle sconvolgenti condizioni di vita di centinaia di milioni di persone, in una terra fatta di saccheggi e sprechi che comportano malattie, fame e morte per milioni di esseri umani.
Un mondo in cui, come è apparso chiaro nel pre-vertice Fao di Roma «a dispetto dei propositi sbandierati al punto 2 degli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, la fame globale è tornata a crescere. E ciò dopo anni di globalizzazione di stampo liberista che ha diffuso e incrementato distorsioni, senza offrire soluzioni definitive». Pochi giorni fa è stato pubblicato un rapporto che rilancia l’allarme sull’aumento critico della fame nel mondo, soprattutto in Africa, dopo anni di stallo». (Nicoletta Dentico, responsabile del programma di salute globale di Society for international development).

Aumentano malnutrizione e fame mentre le grandi multinazionali dell’agri-business continuano ad imporre sistemi e modelli di produzione e di consumo lesivi dei diritti delle comunità, dell’equilibrio ambientale, dei diritti di milioni di lavoratori agricoli. Cresce una nuova e feroce condizione di schiavitù a scapito di sistemi produttivi e di consumo delle tante piccole e medie realtà locali legate ad un positivo rapporto con la terra, la natura e le persone.

Un mondo, quello dei Last 20, che ci pone in maniera drammatica di fronte a livelli intollerabili di schiacciamento della condizione femminile e dei diritti. Il recente ritorno dei talebani al governo dell’Afghanistan dopo vent’anni di una sciagurata guerra, è l’emblema ultimo delle logiche che guidano gli interventi della più grande potenza del mondo e dei suoi alleati economici e militari, nei confronti dei territori ritenuti strategici per affermare e mantenere il proprio dominio geo-politico. Interventi che sono la causa incontestabile dell’impoverimento, della fame, della disperazione, della fuga di un intero popolo al quale i G20 elargiranno i tradizionali “aiuti umanitari”, gran parte dei quali finiranno nelle mani delle bande, delle milizie e delle mafie locali.

Tutto ciò rende evidente che una parte del mondo, il 33% della popolazione mondiale, che vive le peggiori condizioni di povertà ed emarginazione, non viene presa in considerazione. Inoltre in essa la parte sottoposta alle peggiori condizioni, le donne, i bambini, le persone più fragili, è costretta in condizioni insostenibili.
Noi, come abbiamo scritto nel documento che ha dato il via alla costruzione del Comitato e al percorso “The Last Twenty”, pensiamo che “questo non sia giusto” e che le azioni finora messe in atto dalle grandi potenze mondiali non contribuiscano assolutamente ad affrontare e risolvere le grandi sfide del nostro tempo.
Riteniamo che sia necessario un riequilibrio sia territoriale che sociale, una convergenza che superi le attuali crescenti diseguaglianze. Un riequilibrio nel rapporto tra la società umana e la natura, un riequilibrio nel rapporto tra economia reale e finanza.

Un riequilibrio nell’orizzonte di un mutamento di sistema, che diventa sempre più urgente a causa della pandemia che attanaglia il mondo, che faccia leva sulla visione, la cultura, l’intelligenza, le esperienze, le competenze misconosciute delle popolazioni dei Paesi cosiddetti ultimi.
Per queste ragioni abbiamo dato vita al percorso dei Last 20, degli ultimi Paesi della terra per reddito, qualità della vita, condizioni socio-sanitarie ecc.
Crediamo inoltre che per affrontare in maniera adeguata questi problemi sia necessaria l’analisi e la lettura degli stessi da parte di chi ne sopporta sulla propria pelle le conseguenze più dure.

Per questo abbiamo incentrato la costruzione di questo percorso, in generale e nello specifico della tappa romana, sul protagonismo e la voce delle comunità delle diaspore dei Last 20 che vivono in Italia. Sulle testimonianze delle personalità che sono riuscite a raggiungerci da quei Paesi, sulle pratiche e le analisi di diverse Ong impegnate da anni nelle aree e nei Paesi più in difficoltà. Ancora, sull’apporto di studiosi, associazioni, istituzioni e personalità del mondo dei G20 impegnate, in tale direzione.
La prima sessione esprime chiaramente questa scelta.
L’intento dichiarato è di mettere un altro tassello alla costruzione di una rete e di un percorso che dovrà continuare nel tempo.

Il programma della tappa romana

 

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